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L’ambientalismo italiano cambia volto
Nel nostro Paese la leadership green rimane ancora in minoranza, tuttavia la buona notizia è che sta emergendo una nuova generazione di attivisti, esperti, intellettuali: giovani sì ma soprattutto donne. Per ricordare, il 22 aprile, l’Earth Day li ha incontrati
di Emanuele Bompan
Da Il sole24ore. 2020
Cambiamento climatico, sesta estinzione di massa, accaparramento delle risorse idriche, plastiche nei mari, consumo di suolo, economia circolare. Sono sfide sempre più urgenti, eppure sembra che le classiche ricette dell’ambientalismo non siano sufficienti ad accelerare la transizione. Un fenomeno più acuto in Italia, dove la leadership green rimane in minoranza, ma dove c’è un fermento trasformatore che viene dal basso: non tanto dalle piazze dei Fridays for Future, ma da un tessuto civico, ecologista e giovane, diffuso nel Paese. Una nuova generazione di esperti, attivisti, intellettuali volontari e professionisti sta emergendo, idee in costante evoluzione si sono attivate per rendere l’Italia un luogo più sostenibile e più resiliente: in una parola, contemporaneo.
La prima notizia: il nuovo ambientalismo è rosa. «Sono le donne i soggetti più colpiti dalle conseguenze degli stravolgimenti planetari e dagli eventi meteorologici estremi, e quindi sono loro i soggetti più attivi nelle proposte e nell’attuazione di soluzioni concrete, spiega a IL Marirosa Iannelli, 34 anni, presidente di Water Grabbing Observatory, che ha deciso di dedicare la vita al tema dell’acqua anche in rapporto con la salute femminile. Per l’eco-femminista Chiara Soletti, 33 anni, «l’ambiente è legato a doppio filo alla giustizia sociale. Ed è qui che le donne sono in prima fila, ancora una volta, a lottare per i loro diritti».
Il tema dominante è il cambiamento climatico. La comparsa di Greta Thunberg ha spinto tanti ragazzi a scendere in campo. Ma se Friday For Future ed Extinction Rebellion sono movimenti di protesta orizzontali, senza leader, numerosi sono i gruppi organizzati che cercano di influenzare l’azione locale affiancandosi ad associazioni “storiche” come Legambiente e Greenpeace. L’Italian Climate Network (ICN) dal 2011 lavora per diffondere la consapevolezza sulla sfida climatica e, con poche risorse, è riuscito a diventare uno dei soggetti più influenti sul tema. «È la sfida più importante del nostro secolo», ci spiega Rachele Rizzo, project manager ICN, 30 anni. «Per affrontarla, serve un’analisi attenta delle politiche nazionali e internazionali, tema che pochissimi presidiano, restituendola al grande pubblico».
L’impegno ha numerose declinazioni. C’è chi ha sposato la causa vegan/animalista; chi promuove le energie rinnovabili, come il gruppo fiorentino LCOY, Local Conference of Youth; chi combatte le emissioni di CO2 e l’inquinamento da particolato, che causa oltre 60mila morti solo in Italia. «Biciclette e piste ciclabili sono la soluzione», dichiara la cicloattivista Simona Larghetti, 34 anni, portavoce nazionale di Salvaiciclisti e fondatrice di Dynamo Velostazione, hub di servizi per il ciclismo urbano. Tanti attivisti, comunque, hanno lasciato le file dell’associazionismo per fare la differenza nelle istituzioni, ritenendole il luogo elettivo per modificare la rotta. Uno degli enfant prodige è Federico Brocchieri, 28 anni, oggi all’interno del team che negozia per l’Italia l’implementazione dell’Accordo di Parigi. «Se un problema è di natura globale, non è sufficiente che i Paesi attuino politiche e misure in ambito nazionale», ci spiega. «Occorre agire in maniera coordinata a livello internazionale. Il multilateralismo costituisce l’unica possibilità».
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Ambientalismo in Italia e in Europa. Cosa c’è che non va nella politica verde
di Rosa Filippini
(da l’Astrolabio giornale on line degli Amici della Terra Italia) 2019
Perché solo i verdi italiani, a differenza dei colleghi europei, non hanno registrato un successo alle elezioni europee nonostante il loro messaggio elettorale abbia coinciso con quattro mesi di piazze colme degli studenti dei Fridays for future e, soprattutto, con la loro celebrazione mediatica?
Gran parte degli osservatori intervenuti sul quotidiano La Repubblica convergono su un giudizio critico sui verdi italiani che sarebbero troppo fondamentalisti, direbbero troppi no, incapaci di quel pragmatismo che consente ai loro colleghi tedeschi di diventare il partito più votato in patria. Dice Manconi, che dei verdi italiani è stato anche portavoce negli anni ’90: “Il tratto saliente dei verdi tedeschi è stato sempre la sagacia politica: la radicalità dell’analisi e gli stili di vita conseguenti non hanno mai fatto velo al realismo politico”.
Angelo Bonelli, attuale coordinatore nazionale dei verdi, difende la sua formazione su questo punto: al partito verde non manca la radicalità dei veti ideologici (No Tav, No Triv, No Tap, no inceneritori) e non mancò il “pragmatismo” di partecipare, negli anni ’90 e 2000, ai governi di centrosinistra lasciando una traccia importante della propria partecipazione nell’adeguamento energetico degli edifici.
In realtà, i provvedimenti di efficienza energetica sono effetto semmai delle campagne come quelle degli Amici della Terra mentre la traccia più evidente delle politiche verdi è invece negli spropositati sussidi a eolico e fotovoltaico a terra che gli italiani pagheranno in bolletta fino al 2030 anche se non hanno prodotto che una trascurabile riduzione (qualche zero virgola) delle emissioni che minacciano il clima a livello globale.
Ma il comportamento dei verdi tedeschi e nordeuropei non è (e non è stato) molto dissimile, solo più funzionale agli interessi dei rispettivi paesi: anch’essi sfoggiano posizioni e stili di vita di intransigente contrarietà alla società dei consumi, ma tollerano, o hanno tollerato negli anni, senza troppi drammi, più di un compromesso sulle scelte fondamentali: un sistema quasi tutto nucleare come quello francese; una produzione elettrica basata per il 40% sul consumo di lignite tratta dalle miniere nazionali a cielo aperto come quella tedesca; un sistema di gestione dei rifiuti basato sull’esportazione come quello inglese; sistemi di controllo del mercato alimentare assai carenti come quelli che appena qualche anno fa consentirono il diffondersi del morbo della mucca pazza come quelli di mezza Europa. Spesso poi, gli impegni di riduzione delle emissioni climalteranti al 2020, (quelli che l’Italia ha già raggiunto al 2017) segnano il passo proprio nei paesi dove i verdi contano di più.
Da questo punto di vista l’analisi potrebbe rovesciarsi: perché nonostante queste defaillances e queste evidenti contraddizioni, i partiti verdi europei mietono consensi elettorali così elevati? Inoltre, se accettiamo che l’essenza della politica ambientalista sia nell’immagine intransigente e nell’agire “sagace” o, per meglio dire, tartufesco, ci accorgiamo che anche l’Italia ha espresso la sua bella quota di quello che passa per “politica verde” e, allo stesso tempo, di tutto quello che passa per “pragmatismo”: una formazione politica, quella dei seguaci di Grillo che, mutuando tutte le parole d’ordine dell’oltranzismo verde, ha avuto successo ben prima dei verdi nel resto d’Europa e che, pur di stare al governo, convive “pragmaticamente” con Salvini.
Dunque cosa dobbiamo sperare? La politica ambientalista è tutta da buttare, in Italia e all’estero? Certo che no, ma forse dobbiamo uscire dall’equivoco che sostituisce l’immagine alla sostanza.
Anzi, occorre sottoporre a verifica l’immagine che l’ideologia verde ama dare di sè e che i decisori e i commentatori (di sinistra e anche di destra) spesso rincorrono, ritenendola vincente, a prescindere dal merito, presso l’opinione pubblica.
Spesso, questa immagine consiste in luoghi comuni, che non hanno alcun senso reale, avvalorati solo dal fatto che nessuno si è mai preso la briga di contestarli apertamente. E’ così per l’acqua pubblica. L’acqua non è mai stata “privata” ma lo slogan fa temere che lo sia o che potrebbe esserlo. Se aggiungiamo il timore di doverla pagare, il gioco è fatto: non si troverà più nessun politico o amministratore disponibile a spiegare che l’acqua è già pubblica ma che, se anche la sua gestione resta in mano ai municipi, non ci saranno mai le risorse da investire in un ciclo integrato, depurazione inclusa, che eviti gli sprechi e le perdite e che salvaguardi la risorsa e la qualità ambientale.
È così per i rifiuti: zero rifiuti è un’affermazione senza senso se non sei un eremita. Ma funziona molto bene per chi voglia rappresentarsi come puro e senza macchia. La realtà è al contrario: il ciclo dei rifiuti è così importante che per gestirlo in modo ambientalmente corretto occorrono grandi infrastrutture industriali, comprese discariche e inceneritori. Chi non è in grado di occuparsene a questo livello, esporta i rifiuti o li lascia nelle strade in balia di topi e gabbiani, come accade a Roma.
È così per la mobilità sostenibile: nessuno vuole nuovi cantieri vicino casa ma garantire a tutti la libertà di muoversi, limitando i danni al suolo e all’atmosfera richiede utilizzare al massimo il trasporto pubblico su ferro. Che c’entra questo con No Tav?
È così anche per il riscaldamento globale: si esaspera un problema in modo isterico ma ci si rifiuta di misurare quali fra gli investimenti possibili siano davvero in grado di ridurre le emissioni nocive al clima globale. Ci si rifiuta di fare i conti con i limiti delle attuali tecnologie dell’accumulo di energia e si pretende di programmare a breve il phase out dei combustibili fossili senza sapere ancora quali siano le alternative.
Se queste fossero le posizioni dei soli partiti verdi, potremmo anche starci. Ma se l’informazione le avvalora acriticamente e il potere le fa proprie, siamo fritti.
Il rischio c’è. Alla vigilia del 2020, la questione ambientale è apparentemente in cima a tutte le agende politiche nazionali e internazionali. In particolare, da quasi 30 anni, i cambiamenti climatici sono oggetto di uno sforzo diplomatico senza precedenti. Conferenze delle parti, summit di capi di Stato, progetti di vincoli alle politiche nazionali e ai sistemi economici come nessun’altra questione di rilievo globale ha mai determinato finora, secondo il copione del massimo allarme (e del minimo impegno effettivo) come se capi di stato e diplomatici fossero gli studenti di Greta e non i massimi responsabili delle politiche e delle strategie da mettere in atto.
I risultati dell’approccio allarmistico sono asfittici. Totalmente inadeguati alle necessità e sproporzionati al prezzo pagato da pochi. Il protagonismo dell’Europa non ha trainato il resto del mondo e nessuno si è posto davvero il problema dell’accesso all’energia nei paesi poveri.
Quello che manca alle politiche ambientali non è una nuova ondata di catastrofismo e nemmeno di “pragmatismo” ambiguo. Piuttosto, è un ambientalismo riformista che va ricostruito in Europa, in Italia, in sede internazionale. Un approccio strategico capace di riprendere, dagli armadi dove è stata relegata, la più felice intuizione del secolo scorso, quella di uno sviluppo sostenibile che non trascuri nessuna delle dimensioni, ambientali, sociali, culturali, indispensabili alla vita sul pianeta e misuri su di esse ogni impegno concreto.
Gli Amici della Terra, che in questi giorni celebrano i propri 40 anni (e più) di vita, non hanno mai abbandonato la strada della responsabilità e del riformismo. Hanno resistito, non intendono mollare il campo e hanno molto da dire in proposito. Interlocutori cercasi.
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E’ ora di un Partito Ambientalista? L’Italia è tra le più floride economie green, ma in Parlamento di ‘verde’ c’è solo la Lega
Di federico Del Prete da https://it.businessinsider.com/ 2018
I risultati elettorali tedeschi in Baviera e Assia promuovono una svolta “green” per la Ue? Se la Germania è avanti anni luce in quanto a contenuti politici ambientalisti, in Italia è ancora una volta il mondo dello spettacolo a sollecitare la politica. In un suo recente tweet dal seguito sorprendente Alessandro Gassmann, famoso attore e ambasciatore Unhcr, ha dato la sua disponibilità a “collaborare attivamente” a un soggetto ambientalista; “politico”, come ha poi precisato in un altro tweet a chiusura degli interventi dei suoi follower. È dalla fine di ottobre che Gassmann lancia tweet di questo tipo, su una timeline dai contenuti eminentemente professionali. In media, i suoi tweet ecologisti sembrano però avere addirittura più seguito di quelli su spettacoli e serie televisive che lo vedono protagonista. Gassmann ha lanciato la sua proposta indignato dalle palesi trascuratezze nella gestione dei territori, oltre che allarmato dall’intensificarsi di eventi meteorologici sempre più estremi, come quelli che hanno duramente colpito l’Italia nelle ultime settimane.
Le centinaia di commenti e di like piovuti da tutte le parti alle sue sollecitazioni, mondo ambientalista compreso, fanno intravedere qualcosa di più significativo del suo accorato appello. Il giorno prima anche Beppe Sala, sindaco di Milano, aveva a sua volta confermato sempre su Twitter il suo impegno politico nella questione ambientale, già espresso, tra l’altro, con la fattiva inclusione di Milano nella rete di città a basso impatto ambientale promossa da Bloomberg, C40 Cities.L’ambientalismo italiano ha una lunga storia, ma gli anni Ottanta sono certamente stati il punto di svolta per la conferma parlamentare delle associazioni e dei movimenti. Il disastro di Chernobyl ha visto la nascita del cammino politico dei Verdi variamente intesi, e la conquista di alcuni importanti risultati come il referendum sul nucleare (1987), quello sull’acqua pubblica (2011) e, recentemente (2015) il riconoscimento dei reati ambientali.
Nonostante i successi e le notevoli competenze messe in campo dalle associazioni e dai movimenti, competenze che dovrebbero confluire anche in un serio percorso istituzionale, la politica mainstream non ha mai abbracciato concretamente le politiche ambientali, com’è successo ad esempio in Germania, dove l’ecologismo non ha colore politico ma è prima di tutto inteso come opportunità economica.
Secondo il rapporto GreenItaly 2018 di Fondazione Symbola, nell’ultimo quinquennio un quarto (345.000) delle imprese italiane ha investito in tecnologie green per innovare e superare la crisi. L’economia italiana è ai primi posti nella UE per sostenibilità e produttività green. Questa sorprendente spinta alla riconversione ecologica morde però il freno, marginalizzata com’è da una politica spesso incompetente a coglierne le opportunità, aumentando il divario con l’Europa più avanzata.
Sulla scorta dell’appello di Gassmann, Business Insider Italia ha chiesto ad alcuni tra i maggiori esponenti delle associazioni e dei movimenti ambientalisti italiani com’è possibile che la classe politica di un paese come l’Italia, che come altri potrebbe cogliere molte opportunità di occupazione e di benessere da una seria svolta in senso ambientalista, fatichi a dare ai suoi elettori una prospettiva di questo tipo.
Il verde non è il colore dell’ambientalismo
Un nuovo soggetto politico verde in Italia? Il diavolo è nei dettagli: nella politica italiana, il verde non è certo il colore dell’ambientalismo. Mentre la Lega è lontanissima dai temi dell’ecologia, è l’altro colore per così dire dominante, il giallo del M5S, a essersi fatto carico delle politiche ambientali. Dopo i condoni e i dietrofront sulle “grandi opere” del M5S gli ambientalisti sono però molto critici sulla condotta pentastellata, almeno quanto i suoi elettori.
“Il Movimento 5 Stelle ha ottenuto una parte importante del proprio consenso elettorale cavalcando l’ambientalismo, ma con un limite oggettivo: ha assecondato la protesta e l’opposizione, senza arrivare però fino in fondo e con competenza a una consapevolezza da offrire al paese sulle opportunità future. In particolare, sul fatto che l’ecologismo non è un limite allo sviluppo quanto piuttosto un concreto orizzonte di crescita,” ha detto Rossella Muroni, ex presidente nazionale di Legambiente e ora deputata in parlamento con Leu. “A me ha colpito molto, ad esempio, il fatto che la premier britannica Theresa May abbia personalmente annunciato il piano di lotta alla plastica. Dovremmo sempre di più far capire che è una questione economica, ponendo il problema di come il paese intenda evolvere. La questione ambientale richiede una visione a lungo termine, che è quello che in Italia la politica non riesce a fare,” ha continuato Muroni.
A livello globale, la questione ambientale e climatica è vista sempre di più come un’opportunità di business strutturale, non accessoria. Che bisogna però saper cogliere, con determinazione e adeguate competenze. È una rivoluzione culturale della politica, un germe positivo, da cui almeno nelle sue sedi istituzionali l’Italia non risulta ancora essere stata contagiata. Per motivi ancora una volta politici, verrebbe da dire:
“C’è l’idea, sia per ciò che riguarda la politica sia per il mondo dei media, che con i temi ambientali non si acquisisce consenso. Quando ci si oppone a opere inutili o dannose o si promuove la costruzione di un parco, sia da un punto di vista culturale sia mediatico avrò più nemici che amici. Tanti sindaci e tanti politici hanno perso il consenso dei loro cittadini perché facevano politica ambientalista. Questo aspetto non deve essere sottovalutato: quando si fanno questo tipo di politiche si viene valutati come quelli del “no”, o tacciati di ideologia. È un problema che i miei colleghi in Germania o anche qui in Belgio non hanno,” sottolinea Monica Frassoni, più volte parlamentare europea e co-presidente del Partito Verde Europeo a Bruxelles.
Ambientalismo o politiche ambientali?
I “no” ideologici o peggio irresoluti rischiano di diventare un boomerang, perché all’origine non è stata data chiarezza e determinazione ai cittadini sia sul problema in sé sia sulle possibili alternative. Il punto è che in Italia l’ambientalismo soffre una penosa e ingiustificata equazione con il pauperismo, con un’idea malsana di decrescita, piuttosto che come opportunità di sviluppo.
“Spesso si confonde l’ambientalismo con la questione ambientale,” ha precisato Rossella Muroni. “L’ambientalismo è una sensibilità, un modo di vedere le cose; a noi servirebbe piuttosto una politica ambientale che informi l’industria e lo sviluppo economico. Al paese servirebbe ad esempio un Ministero dello Sviluppo Economico Sostenibile, piuttosto che un Ministero dell’Ambiente. Non serve più essere soltanto una parte, ma diventare centrali, perché ritengo che ciò riguardi lo sviluppo del paese e dell’economia, di un nuovo modo di stare in Europa e di essere competitivi a livello internazionale. Se non s’investe nella qualità ambientale della produzione e dell’industria, la battaglia livello internazionale è persa.”
“Il problema è della politica”, conferma Annalisa Corrado, ingegnera, portavoce di Greenitalia e membro del comitato scientifico di Possibile. “Per fare un esempio, all’inizio del suo percorso il Movimento 5 Stelle era notevolmente incardinato sui temi ambientali, in modo anche discutibile, cavalcando tutti i “no” possibili e immaginabili, anche su ambiti nei quali dover fare dei necessari distinguo. La “rivoluzione verde” è di fatto scomparsa dai radar, una volta arrivati al governo. Se non se ne occupa la politica di governo, anche i media e i cittadini difficilmente individueranno l’ambiente come un tema cruciale”.
“Sia le associazioni ambientaliste sia la politica hanno spesso cercato personaggi che con la loro popolarità riuscissero attraverso i media a entrare nelle case, per comunicare con semplicità e coinvolgere le persone su temi considerati spesso tanto complessi. Sono sempre stati considerati, giustamente, preziosissimi, ma purtroppo, in Italia, anche piuttosto rari. Questo tweet (quello di Gassmann ndr.) ha provocato un piccolo terremoto, ha avuto un successo strepitoso, con tante proposte arrivate da parte dei cittadini”, ha detto Corrado.
Eppure, un tempo in Italia i Verdi sono stati una realtà di tutto rispetto. Perché temi politici come quelli della tutela dell’ambiente non hanno tenuto l’agone politico, in un paese che ne avrebbe così bisogno, e diritto? Prova a ricostruire questi passaggi Stefano Ciafani, presidente nazionale della maggiore associazione ambientalista italiana, Legambiente:
“Dopo il primo momento propulsivo seguito al disastro di Chernobyl, gli anni più fecondi sono stati gli anni Novanta, durante i quali si sarebbero potute creare basi che avrebbero poi espresso ciò che oggi sono ad esempio i Grünen tedeschi, con governatori nei Länder più importanti: Il Baden-Württemberg, come dire la Lombardia tedesca, ha un governatore verde”.
Le politiche ambientali vanno portate fino in fondo, secondo una visione determinata e a lungo termine, com’è per gli investimenti.
“Per ciò che riguarda il governo delle città, temi come l’efficienza energetica, l’inquinamento e la mobilità, costituiscono un problema: le mezze misure non funzionano, come i divieti temporanei di circolazione ai veicoli inquinanti. Si dà solo fastidio alle persone, senza cambiare davvero le cose”, ha detto Monica Frassoni.
In Europa, le città leader sono quelle che proprio in materia di mobilità dimostrano una ferrea volontà d’innovazione, come nel caso della pedonalizzazione totale dei Lungo Senna in corso a Parigi, mentre a Roma si combatte da decenni per pedonalizzare l’Appia Antica, visitata da turisti di tutto il mondo, mentre di pedonalizzare i Lungo Tevere non si può apparentemente nemmeno iniziare a parlare. “Negli Stati Uniti dell’era Obama gli elettori sapevano chi votare,” continua Stefano Ciafani, presidente di Legambiente: “in Germania e in Francia oggi si sa chi votare; nell’Italia del 2018 i cittadini ancora non sanno chi votare per promuovere la politica ambientale”.
“Misuriamo la sensibilità ai temi ambientali ogni volta che facciamo campagne di volontariato. Per ‘Puliamo il Mondo’ abbiamo stimato un coinvolgimento di seicentomila persone solo nell’ultimo fine settimana di settembre”. La questione ambientale è nella quotidianità di tutti, rileva ancora Ciafani: “Un terzo degli abitanti del nostro paese vive in una camera a gas per diversi mesi l’anno, mi riferisco ai cittadini della Pianura Padana. Da decenni il problema del rischio idrogeologico riguarda milioni di persone che vivono in tutto il paese, per non parlare dell’emergenza rifiuti. Quando si va al mare l’estate, se il depuratore ha una scarsa efficacia, le persone fanno il bagno in tratti di costa inquinati: l’esigenza di un ambiente più sano che renda più vivibile le città e la vita nei comuni del paese è ormai diffusa, ma quando si va a votare la parte di cittadini sensibili a questi temi deve accontentarsi di poco”.
“In Italia, i partiti del centro-destra non hanno mai voluto promuovere politiche ecologiche, ma questi non sono argomenti che hanno un colore politico: in Germania, l’economia verde è un pezzo importante dell’economia del paese. La Merkel e la Cdu non hanno certo lasciato i temi ambientali ai Grünen, ma ne hanno fatto a loro volta gran parte delle proprie scelte politiche, come anche il centro-destra. In modo diverso dai Grünen, ma l’hanno fatto”, ha concluso Stefano Ciafani.
Che fare
Il tweet di Alessandro Gassmann non è che l’inizio di un percorso ormai inevitabile. Per alcuni semplici motivi: in Italia, proporre una qualsiasi idea crescita secondo il business as usual è come tessere la tela di Penelope. Ciò che il modello di business attuale può ancora costruire, il depauperamento delle risorse e l’emergenza climatica distruggono, per non contare l’aumento delle disuguaglianze e della crisi sociale. Inoltre, la politica italiana è visibilmente a corto di contenuti. Se un’attenzione strutturale al tema ambientale può essere una soluzione alla crisi, quali potrebbero essere gli indirizzi concreti?
“La sindrome da cui non ci si dovrebbe far prendere è quella partitica. Sicuramente manca una componente ambientalista nel parlamento, ma in questo momento non dovrebbe passare per la fondazione di un nuovo partito. Piuttosto, facendo un lavoro di crescita culturale in tutti i campi di questo paese, in cui si possano anche creare alleanze trasversali. L’ambientalismo non può essere una cultura di parte, secondo me. La questione ambientale deve avere l’ambizione di raggiungere l’intera classe dirigente di questo paese. Per fare ciò bisogna lavorare moltissimo sulla cultura politica, spero da parte di tutte le forze politiche”, ha affermato Rossella Muroni di Leu. “È la politica a dover riconoscere validità alle iniziative territoriali, non viceversa, provando a dargli una voce; ma prima c’è bisogno che la politica riconosca il proprio limite, tornando nei territori e nel paese ad ascoltare e a cercare competenze ed esperienze”.
Da Bruxelles, Monica Frassoni individua un obiettivo a breve termine: le prossime elezioni europee del 23 maggio 2019.
“L’obbiettivo è quello delle elezioni europee, offrendo agli elettori un soggetto fondato sull’ecologia e su un’idea di un’Europa forte, unita nella lotta ai cambiamenti climatici e portatrice di una società aperta, con il rifiuto dei nazionalismi; sono questi i tre ambiti dai quali si dovrebbe partire, giustificando così una lista aperta anche a forze politiche che non si chiamano verdi ma che promuovano queste tre caratteristiche in modo estremamente chiaro”.
“In Italia abbiamo la seconda green economy d’Europa, una delle più avanzate al mondo, ma chi fa impresa e industria verde è spesso lontano da Confindustria, e in molti casi anche dai sindacati; questo peso economico da mettere sulla bilancia politica viene a mancare”, conclude Monica Frassoni.
“Un’offerta politica per l’elettorato ambientalista esiste già, ma è un’offerta politica di marca ideologica. Il 30% elettorale del M5S è arrivato soprattutto dalla piattaforma antipartitica, giocando sul populismo e sulla disaffezione nei confronti dei partiti tradizionali; è un atteggiamento comprensibile, ma poco efficace per i temi ambientali”, afferma Stefano Ciafani.
Una nuova speranza
La forza dell’ambientalismo italiano è pronta a rivelarsi anche come forza di governo? La sfida si gioca sulle reali competenze, terreno difficile per una politica sempre più ostaggio dell’approssimazione. La stessa domanda se la pone anche Rossella Muroni:
“C’è qualcuno che sta pensando a quali siano le competenze che servono a questo paese per abbattere il rischio idrogeologico? Come vengono create, stabilizzate? Quale dignità diamo a questi nuovi lavori, i famosi green jobs di cui tutti si riempiono la bocca? Anche per fare in modo che il mercato del lavoro sia soprattutto questo, e non più soltanto la difesa dell’esistente, secondo i principi del Novecento. L’Articolo 18 è importante, ma come potremo creare i lavori del futuro?”.
Conclude Monica Frassoni di European Green Party: “I media dovrebbero trasmettere al pubblico l’importanza e l’urgenza di gestire i cambiamenti climatici, perché ormai siamo davvero fuori tempo massimo. Da parte nostra, dobbiamo unirci e dare un messaggio positivo e di speranza, rispetto ad esempio al mondo del lavoro: quando il governo discute di nuove attività economiche non parla mai di quali sono i settori più promettenti in quanto a creazione di nuovi posti di lavoro. Sono proprio quelli dove si utilizzano tecnologie verdi: dall’edilizia all’energia, alla mobilità. Le imprese che crescono di più sono quelle che investono in sostenibilità e in tecnologie verdi. I dati ci sono, ma non entrano nel dibattito pubblico”.
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Il silenzio italiano sull’ambientalismo.
Di Sergio Harari dal Corriere della Sera 2019
Si sente un gran parlare di questi tempi di ambientalismo, sono in molti a improvvisarsene alfieri e a ricordare come in anni passati già erano stati paladini di questa o quella campagna politica, delle quali però nessuno si ricorda. In realtà con pochissime eccezioni l’ambientalismo nel Belpaese non ha mai fatto notizia né tantomeno attecchito, Verdi e similia non hanno mai avuto gran fortuna e quando hanno avuto un qualche spazio politico se lo sono lasciato accuratamente sfuggire (chi ricorda il ministro dell’Ambiente Pecoraro Scanio?), mentre gli altri partiti non ci hanno mai creduto davvero. Nella appena trascorsa campagna elettorale per le europee, malgrado il successo del movimento Fridays for future e della sua animatrice Greta Thunberg, in Italia non si è praticamente parlato di ambiente, sebbene sia un tema tipicamente comunitario. È una emergenza che può essere seriamente affrontata solo coinvolgendo in strategie e interventi ampie regioni europee, ma da noi è totalmente dimenticato, salvo ricordarsene un po’ opportunisticamente in qualche occasione.Sono anni che si discute sulla necessità di aggiornare le norme comunitarie sui valori soglia per gli inquinanti atmosferici (peraltro regolarmente non rispettate dall’Italia), non allineate con quanto suggerito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e assai meno protettive di quelle americane, ma l’argomento è lontanissimo da qualsiasi agenda politica e latitava nei vari programmi elettorali.
Anche alcuni provvedimenti sull’agricoltura e l’inquinamento del suolo che hanno importanti ripercussioni sull’ambiente meriterebbero di essere presi in considerazione, ma tutto tace o quasi. Stessa filosofia del silenzio sulla sicurezza alimentare e la salute pubblica, meno se ne parla e più ci si dimentica dei problemi, anche se non sarà rimuovendoli dalle nostre menti che si risolveranno. Salute, ambiente e sicurezza alimentare non a caso costituiscono un’unica commissione nel Parlamento europeo ma ci si chiede quale ruolo potrà mai avere il nostro Paese nella prossima legislatura visto il nazionale disinteresse. Oggi, in Italia, nessuno sembra minimamente sensibile ai valori più importanti per il nostro futuro.
Così non è in Europa, dove l’avanzata dei movimenti Verdi è stata chiara e la sensibilità dei cittadini è ben diversa. Nella bella intervista che ha rilasciato al Corriere Annalena Baerbock, leader di successo dei Verdi tedeschi, pone la questione europea al centro dell’impegno politico in una nazione come la Germania, dove non era per nulla scontato, e dichiara che l’Unione per la difesa del clima è il futuro della Ue. Al successo della Baerbock, futura cancelliera ad alta probabilità, fa da contraltare l’ennesima sconfitta dei Verdi e più in generale dei temi ambientali nel nostro Paese. È venuto il momento che gli italiani decidano di riempire un vuoto che i politici non vedono o non sanno riempire, il successo dei movimenti ambientalisti prova che si può fare anche senza avere dietro particolari partiti, anzi forse meglio.
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NON C’È PIÙ TEMPO: L’ITALIA HA BISOGNO SUBITO DI UN GOVERNO AMBIENTALISTA
di Elena Grandi, co-portavoce della Federazione dei Verdi. da Verdi.it 2019
Occorre dirlo con chiarezza, sfidando il pericolo di ripetere un’ovvietà: i Verdi vogliono un governo che affronti l’emergenza climatica. Con serietà e dedizione. E subito, senza tentennamenti e tatticismi e senza inganni, perché «il tempo non è dalla nostra parte», per parafrasare il titolo di un brano dei Rolling Stones. Per uscire dal generico, purtroppo ormai numerosi sono gli ambientalisti a chiacchiere o a targhe alterne, i Verdi vogliono un programma che riduca la nostra dipendenza dai fossili; che metta in atto misure coraggiose contro il dissesto idrogeologico; che approvi la legge contro il consumo del suolo, per la messa in sicurezza e l’efficienza energetica degli edifici; che incentivi le 4 R, Riduzione, Riutilizzo, Riciclo e Recupero dei rifiuti, al posto di discariche e inceneritori; che preveda la bonifica dei siti inquinanti; che avvii la riconversione industriale dell’Ilva; che sposti i contributi dello Stato dalle energie fossili alle energie rinnovabili. Tutte misure queste che creano posti di lavoro “virtuosi”, l’inizio di una vera riconversione economica ormai non più rinviabile.Vogliamo un programma che riduca le spese militari. Che affronti la piaga della fuga in altri Paesi di migliaia d’italiani a caccia di lavoro. E che risolva, con umanità e rispetto, la questione dei migranti, ambientali e non, che cercano solidarietà e aiuto nel Vecchio Continente. Se noi fossimo al governo partiremmo da qui. Perché da qui bisogna partire se vogliamo invertire la rotta.
Lo diciamo subito, a scanso di equivoci: in barba alle loro passate malefatte, Pd e Movimento 5 Stelle hanno riscoperto l’ambientalismo, in tempi recentissimi e speriamo non solo a parole. Peccato che assomiglino a quei medici che individuano la malattia e poi sbagliano la terapia: Ilva, Tav, Tap, trivelle, mancata riconversione ecologica, sfruttamento intensivo del territorio, proroga delle concessioni sulle spiagge demaniali … per rinfrescare la memoria collettiva. Bene: siamo pronti ad ascoltare le loro nuove proposte, se le avranno. Le valuteremo con obiettività e senza pregiudizi. E senza dimenticare che l’ambientalismo, come altre manifestazioni altrettanto nobili dell’ingegno umano, lo si misura nei fatti, e con i fatti. Vedremo.
“Chiediamo che l’emergenza climatica sia al centro del programma. Chiediamo la cancellazione di tutti quei provvedimenti che minacciano ambiente, territorio e diritti umani”
Elena Grandi, co portavoce Federazione dei Verdi
Un passo indietro, rapido ma doloroso: l’Italia si trova in una crisi politica di difficile soluzione, stretta fra due emergenze, quella democratica e quella climatica. Il governo giallonero, appena caduto per mano di Salvini in un clima a metà fra una commedia dei Vanzina e una tragedia senza Shakespeare, ha avviato politiche pericolose su migrazione, libertà di stampa e di manifestare. E dannose dal punto di vista ambientale. Basti pensare al piano “clima ed energia”, che non rispetta gli obiettivi europei per contrastare il cambiamento climatico, o ai provvedimenti contro l’ambiente: dalla norma sullo sversamento dei fanghi tossici, alle deroghe ai vincoli ambientali e paesaggistici in nome della crescita, dal condono edilizio al Tav, alla riproposta di un piano infrastrutturale di autostrade e opere inutili, espressione di un’idea obsoleta di sviluppo economico, ben espressa da Salvini durante il suo discorso a difesa degli inceneritori. Su un futuro governo Pd e Movimento5stelle, “c’eravamo tanto odiati” ma scordiamoci il passato, abbiamo qualche perplessità. Soltanto poche ore fa i grillini hanno rivendicato i meriti del governo giallonero: nessuna autocritica sui migranti, sul decreto sicurezza, sulla svendita dei valori ambientalisti. Il fatto che non abbiano chiuso le porte alla Lega getta poi una luce sinistra, e definitiva, sulla loro concezione della politica, senza bussola e senza principii. Molto pericolosa.
L’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, e quindi il Movimento5stelle tutto, vorrebbero poi portare a termine la riforma sulle autonomie locali: una scelta dannosissima per l’ambiente e la tutela dei territori. Lo Stato deve riprendersi il ruolo centrale che ha perso con la sbornia per la sussidiarietà. La Costituzione la prevede, ma non contempla il monopolio assoluto in tema di gestione dei beni comuni. Se si formerà un nuovo governo, lo sapremo la prossima settimana. Per portare l’Italia fuori dal buco nero di rabbia, isolamento e deficit di credibilità in Europa, chiediamo una netta discontinuità nei programmi, e negli uomini e nelle donne che lo rappresenterebbero. Chiediamo che l’emergenza climatica sia al centro del programma. Chiediamo la cancellazione di tutti quei provvedimenti che minacciano ambiente, territorio e diritti umani. Chiediamo un governo che non sia la semplice espressione di accordi fra partiti preoccupati di confrontarsi con il ritorno alle urne.
“Non si può modificare la Costituzione, aggiungiamo, per assecondare spinte propagandistiche che introdurrebbero uno sbarramento del 10 per cento per entrare in Parlamento”
Di Elena Grandi, co-portavoce Federazione dei Verdi
Le premesse non sono buone. Al termine delle consultazioni al Quirinale e della riunione dei gruppi parlamentari, il Movimento5stelle ha posto come punto dirimente per aprire la trattativa con il Pd il taglio dei parlamentari. Una proposta demagogica, che non affronta le vere emergenze, quella ambientale e quella sociale-economica. Non si può modificare la Costituzione, aggiungiamo, per assecondare spinte propagandistiche che introdurrebbero uno sbarramento del 10 per cento per entrare in Parlamento. Sarebbe una svolta autoritaria. E le forze parlamentari che hanno sempre votato contro, dovrebbero spiegare le ragioni per cui hanno cambiato idea. Verrebbero meno le condizioni di agibilità democratica.
Per noi, i Verdi, per Europa Verde e molti altri, perché in caso di elezioni anticipate soltanto cinque forze politiche, costituite in gruppi al momento dell’insediamento del parlamento, potrebbero presentarsi alle urne. Soltanto a loro la legge attuale garantisce l’esenzione dalla raccolta delle firme. Per questo motivo ci appelliamo al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, affinché sia assicurata a tutti la possibilità di presentarsi alle elezioni, anche alle forze politiche non costituite in gruppi parlamentari. Noi comunque saremo in campo, forti del risultato delle Europee e del lavoro come Europa Verde, con l’ambizione di riportare finalmente in Parlamento una vera rappresentanza ecologista. E sottolineiamo “vera”.
(sintesi)
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Gli ambientalisti italiani devono diventare “adulti”?
Di Roberto Della Seta (Giornalista, ecologista)
Francesco Ferrante (Green Italia)
da Huffpost. 2019
Da politici anche di primo piano come Carlo Calenda a giornalisti di varia autorevolezza, l’ultimo Paolo Griseri su “Repubblica”, è tutto un caldo invito agli ambientalisti italiani: fate come in Germania, lasciatevi alle spalle i “no” a tutto – grandi opere, industria, tecnologia – che sono stati finora la vostra impronta e seguite l’esempio dei “Grünen” tedeschi che hanno fatto pace col progresso e grazie a questo sono esplosi nel consenso.
Ora, che nell’ambientalismo – non solo ma anche italiano – risuonino talvolta sensibilità e atteggiamenti “antimoderni” è fuori dubbio, così come è innegabile che i Verdi italiani a differenza di quasi tutti gli altri Verdi europei non abbiano saputo cogliere il passaggio d’epoca che ha trasformato la questione ambientale da grido allarmato sui rischi che l’uomo contemporaneo fa correre agli ecosistemi nel terreno di un’alleanza di bisogni e d’interessi con quella parte crescente di opinione pubblica consapevole che la crisi ecologica, a cominciare dall’emergenza climatica, è una minaccia innanzitutto per il benessere di noi umani, e con quel pezzo, anch’esso sempre più grande, di economia, con le migliaia di imprese italiane che su tale consapevolezza hanno scommesso con successo. Per questo oggi all’Italia servirebbe come il pane una forza ecologista “di nuovo conio”, radicale e rigorosa nella proposta e capace di interpretare al meglio, anche sul piano delle alleanze sociali e politiche, l’odierna centralità dei temi ambientali.
E però, resta molto di cacofonico negli appelli di cui sopra: di stonato sia nell’analisi sia nella credibilità di chi la propone. Contrapporre un ambientalismo “del no” a uno “del sì” è una letterale stupidaggine. Molti no detti con forza dagli ambientalisti italiani sono stati non solo sacrosanti, ma provvidenziali: su tutti il no al nucleare, che ha evitato all’Italia d’imbarcarsi in un’avventura tecnologica non solo pericolosa per la salute dei cittadini ma economicamente fallimentare. Se nel 2011, per la seconda volta dopo il 1987, gli italiani a larghissima maggioranza non avessero detto no all’energia dell’atomo, oggi l’Enel non sarebbe il campione di economia green che è diventato, ma un carrozzone aggravato da investimenti miliardari privi di futuro.
Dopo di che i no non sono tutti uguali. Alcuni sono insensati anche su un piano strettamente ambientale, basti pensare ai comitati – spesso spalleggiati dalla politica di ogni colore – che si oppongono a innocui e utilissimi impianti per il riciclo dei rifiuti, altri hanno basi razionali più che solide: compresso il no alla Torino-Lione, sfida oggi perduta anche e molto perché trasformata dai no-Tav valsusini in un’anacronistica guerra autarchica contro gli “invasori”, ma fondata su argomenti solidi e tutt’altro che antimoderni. Quel tunnel probabilmente si farà, ma le merci sulla direttrice Italia-Francia continueranno a viaggiare prevalentemente su strada, inquinando e intasando molto di più che se corressero su ferro, per la banale ragione che a frenarne lo spostamento sui binari non era e non è l’insufficiente capacità delle attuali linee ferroviarie ma una politica dei trasporti che privilegia con sussidi di ogni tipo l’autotrasporto invece di disincentivarlo come si fa per esempio in Austria e in Svizzera.
Quanto all’ex-Ilva, altro caso invocato di frequente per dimostrare l’antimodernità di chi come gli ecologisti italiani denuncia da decenni che quella fabbrica avvelena illegalmente e impunemente chi ci lavora e chi abita a Taranto, se ci si sta avvicinando sempre di più alla possibilità, socialmente drammatica, che quella fabbrica debba chiudere, la colpa è di chi fino a oggi ha consentito che producesse acciaio infischiandosene della salute di lavoratori e cittadini.
La verità è che le invocazioni agli ambientalisti perché “diventino adulti” rimandano spesso a un diverso auspicio: che la smettano di rompere le scatole, di proporre un punto di vista altro su cosa siano sviluppo e progresso rispetto alle forze politiche tradizionali (cosa che peraltro i “Grünen” e in generale i Verdi europei non hanno mai smesso di fare). Per capirlo basta dare un’occhiata al curriculum degli “invocatori”: ministri dello sviluppo tra i più “antiecologici” della storia recente – Calenda – o commentatori come Griseri che fino a ieri hanno difeso appassionatamente modelli produttivi – tipo la Fiat – che stanno fallendo proprio per non avere saputo e voluto vedere i problemi, su tutti l’emergenza climatica, che gli ambientalisti segnalano da qualche decennio. A loro, più che un ambientalismo rinnovato e modernizzato piacerebbero dei Verdi talmente sbiaditi da sembrare trasparenti.
I partiti italiani ambientalisti, ovvero ciò che manca nel nostro paese.
Di Giulia Dellagiovanna dal sito https://www.ohga.it/ 2019
La cultura ambientalista italiana in politica è sempre stata rappresentata dalla Fondazione dei Verdi, ma alle ultime elezioni i cittadini attenti all’ambiente hanno preferito votare il Movimento 5 Stelle. In Italia sembra mancare una formazione che metta l’ecologia al primo posto e ripensi sotto questa luce l’interno modo di produrre e consumare. Nel corso della tua vita, avrai già votato almeno una volta. In base a quale criterio hai scelto a chi destinare la tua preferenza? Magari eri interessato alle politiche riguardo le pensioni, oppure il lavoro. Di sicuro, non avrai potuto scegliere avendo come priorità l’ambiente. Sembra mancare infatti un partito italiano che presenti un programma basato sullo sviluppo sostenibile e che guardi all’ambientalismo come a una risorsa economica e non una battaglia da combattere in difesa.
Ma proviamo a vedere quali formazioni hanno fatto dell’ecologia uno dei propri punti cardine e qual è la storia dell’ambientalismo politico in Italia.
Per tradizione, è il partito dei Verdi, o meglio, la Federazione a rappresentare in campo politico la cultura ambientalista in Italia. È nato proprio assieme alle associazioni più importanti, come Legambiente, sulla scia delle reazioni indignate al disastro di Chernobyl. Il suo simbolo è il famoso Sole che ride, preso in prestito direttamente dal Movimento antinucleare danese.
Entra in Parlamento per la prima volta nel 1987 e diventerà subito punto di riferimento per le grandi battaglie contro il nucleare. Negli anni promuovono referendum contro la caccia, contro l’utilizzo dei pesticidi in agricoltura, contro la contaminazione degli alimenti attraverso gli sversamenti illegali di rifiuti tossici nelle campagne e sostengono la mobilitazione di Possibile contro le trivellazioni.
Solitamente candidati alle elezioni all’interno di coalizioni di centrosinistra, saliranno anche due volte al Governo, nel 1995 e nel 2006, alla guida del Ministero dell’Ambiente. Ma la Federazione dei Verdi non è solo ecologismo: sostengono i diritti dei lavoratori e si battono per la reintroduzione dell’articolo 18, sono un movimento pacifista, tanto che dopo l’inizio della campagna militare in Iraq hanno integrato il proprio simbolo con la bandiera arcobaleno e i loro argomenti sono spesso simili a quelli del Partito dei Radicali. Così, un po’ per mancanza di un’identità ben chiara e distinguibile, un po’ per una strategia politica non sempre vincente, i Verdi sono rimasti nelle retrovie e alle ultime elezioni non hanno ottenuto nemmeno un seggio.
I Verdi Nascono nel 1991, dopo che Maurizio Lupi, omonimo del rappresentante di Noi con l’Italia, esce dalla Federazione dei Verdi accusandoli di essere troppo radicati a sinistra. I Verdi verdi infatti si candideranno più volte alla elezioni politiche, sostenendo quasi sempre coalizioni di centrodestra e non venendo mai eletti. Se non li hai mai sentiti nominare, è perché non abiti in Piemonte, dove hanno quasi tutta la propria base elettorale. A differenza della Federazione, sostengono che il proprio ecologismo debba andare di pari passo con i valori del cattolicesimo attento all’ambiente e sono favorevoli a un liberalismo verde, cioè che aiuti a minimizzare i danni dell’essere umano sulla natura e la rigenerazione delle aree danneggiate.
Contro la Tav e contro la Tap, il Movimento 5 Stelle si è fatto portavoce delle battaglie contro le grandi opere e ha attirato i voti degli elettori attenti all’ambiente, oscurando la Federazione dei verdi. Fin dalla loro nascita, i pentastellati hanno promosso l’attenzione all’impatto dell’uomo sulla natura. Nel loro programma si parla di promozione dell’economia circolare, protezione del territorio e prevenzione del rischio idrogeologico, energia green. Saliti al Governo assieme alla Lega, da sempre favorevole alle grandi infrastrutture, hanno però dovuto rivedere i propri obiettivi e “tradire” le aspettative di quei cittadini che li avevano sostenuti proprio per la loro sensibilità ai temi ecologici.
la storia della coscienza politica ambientalista italiana è strettamente intrecciata con la Federazione dei Verdi. Le prime formazioni ecologiste si presentano in realtà già alle elezioni regionali del 1985, ma è solo l’anno successivo che nasce un partito unito e coeso, con uno statuto unitario. Da un lato sono un punto di riferimento per la battaglia contro la caccia e il nucleare. D’altronde ricorda che l’ambientalismo in Italia nasce soprattutto come risposta al disastro nucleare di Chernobyl. Dall’altro lato però la frammentazione del fronte ecologista arriva nel giro di pochi anni e alle elezioni europee del 1989 si presentano anche i Verdi arcobaleno mentre nel 1990 nascono i Verdi verdi. Ma la storia del blocco ambientalista italiano è fatta di alleanze e divisioni, cosi si riuniscono Fondazione e Verdi arcobaleno, ma si staccano i Verdi federalisti. A questo punto, il panorama di un elettore attento ai temi ambientali si presentava con un partito radicalizzato a sinistra, la Federazione, uno alleato al centrodestra, i Verdi verdi e una serie di piccoli distaccamenti con poca o nulla visibilità.
Sarà la Federazione dei verdi a salire per due volte all’esecutivo. La prima volta nel 1996, quando Edoardo Ronchi diventa Ministro dell’Ambiente per il governo Prodi, e la seconda volta nel 2000 con Alfonso Pecoraro Scanio Ministro delle Politiche agricole e Gianni Francesco Mattioli Ministro delle Politiche Comunitarie. Per poi subire un brusco calo di consensi solo l’anno dopo.
E proprio nel 2001 viene nominato presidente Alfonso Pecoraro Scanio che pone l’attenzione su temi strettamente ambientalisti, come la lotta agli Ogm e la promozione dell’energia prodotta da fonti rinnovabili. Ma con lui emerge anche un nuovo filone, quello pacifista e per la lotta in favore dei diritti civili. Appoggiano ad esempio Rifondazione comunista nel referendum per l’estensione dell’articolo 18 anche ai lavoratori dipendenti delle piccole aziende. Non solo, ma nel 2004, in risposta all’intervento militare in Iraq, aggiungeranno la bandiera della pace al simbolo del partito.
La spinta verso sinistra che aveva connotato la Federazione fin dalla sua nascita diventa ancora più concreta e Pecoraro Scanio stringe un’alleanza con tutte le formazioni che non appoggiano il Partito democratico, da Rifondazione comunista a sinistra democratica. Nel frattempo non riescono a recuperare i voti e sulla scena della politica ecologista compare un altro attore, Sinistra ecologia e libertà.
Una storia che dura circa sette anni, dal 2009 al 2016, e che lo vede per qualche tempo alleato proprio della Fondazione dei verdi. Sinistra ecologia e libertà, guidato da Nichi Vendola, parla di un cambiamento nella cultura, nel nostro stile di vita e nel modo di produrre e consumare. Immagina cittadini più consapevoli e guarda alla cultura ecologica dei Paesi del Nord Europa. Durante il referendum sulle trivellazioni in mare, ad aprile 2016, si schiera a favore del sì, per abrogare la norma che permetteva di rinnovare le concessioni fino all’esaurimento dei giacimenti di idrocarburi.
Ma di nuovo, l’ambiente è solo uno dei punti del suo programma, assieme ai diritti civili, alla difesa dei lavoratori e alla ricostruzione di una sinistra alternativa al Partito democratico.
E mentre in Italia la coscienza ambientalista cresceva, diventavamo i primi nell’ambito dell’economia circolare, venivano riconosciuti i reati ambientali e le imprese investivano in sistemi di produzione più green, la politica sembrava quasi non accorgersene. Così, ad oggi, manca un partito che guardi all’ecologia non come alla natura da difendere, ma a un nuovo modo di pensare il sistema produttivo ed economico e a una possibile risorsa per il mercato del lavoro. I voti al Movimento 5 Stelle hanno dimostrato, fra le varie cose, che agli italiani l’ambiente interessa eccome e che serve una forza politica più moderna che si faccia portavoce di questa necessità.