Gli interrogativi che ci pone l’intelligenza artificiale
Per lo scienziato inglese Stephen Hawking lo sviluppo di una intelligenza artificiale capace di avvicinare la macchina all’uomo può costituire la fine della razza umana. Chi ci impedisce, dice Hawking, che forme evoluta di intelligenze artificiali non possano far perdere all’uomo il controllo della macchina?
Gli sforzi dell’industria robotica sono tutti rivolti, oggi, nella realizzazione di macchine sempre più indipendenti, sempre più intelligenti. Una intelligenza artificiale evoluta unita a capacità fisiche ben superiori rispetto a quelle dell’uomo, legato a una lenta evoluzione biologica, spiegano i timori di Hawking. Timori condivisi anche da altri scienziati, tra questi anche Steve Wozniak, uno dei padri dei personal computer, piuttosto che Elon Musk, uno degli imprenditori più illuminati del mondo, che ha tra l’altro inventato PayPal, che consente pagamenti sicuri su Internet.
Proprio Elon Musk ha affermato che gli uomini potranno sopravvivere all’intelligenza artificiale solo se si evolveranno in cyborg, in una fusione tra uomo e potenza di calcolo dei computer. Solo così potrebbero riuscire a controllare forme di intelligenza artificiale sempre più evoluta, afferma.
Che futuro ci riserva l’intelligenza artificiale?
Gli interrogativi di fronte alle prospettive e a i cambiamenti che ci vengono imposti dal progresso non sono una novità del nostro tempo. I timori per un futuro che non conosciamo e che solo in parte possiamo immaginare sono per certi versi anche legittimi. Giustificati oggi come probabilmente lo erano nei primi dell’Ottocento, quando i robot intelligenti di oggi erano rappresentati da quei mostri che attraversavano, fumando, le campagne: le locomotive a vapore.
Non sappiamo quanto tempo l’umanità impiegherà per riscrivere la storia dei rapporti tra uomo e macchina. Questo percorso è già iniziato e ci offre al momento uno spaccato embrionale di quelle che potranno essere le macchine intelligenti del futuro. Macchine ancora fortemente dipendenti dall’uomo e legate all’apprendimento guidato.
Ci piace concludere però con un messaggio positivo, contenuto nel libro “Umani e umanoidi. Vivere con i robot” di Roberto Cingolani e Giorgio Metta. I robot, dicono sostanzialmente i due scienziati, sono macchine e pertanto non potranno mai avere manifestazioni tipiche del sistema biochimico umano. I sentimenti, affermano, non possono provare sentimenti. Se un giorno sarà possibile trasferire la biochimica umana ai robot ci troveremo di fronte non più alla robotica ma alla genetica e a veri e propri cloni, con implicazioni etiche ben diverse: “nulla a che fare con le macchine!”.
E’ evidente che lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, la nascita di macchine sempre più intelligenti metterà l’umanità di fronte ad inediti problemi etici.
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