La globalizzazione è la fonte di tutti i mali? Questa è un’opinione diffusa ma sostanzialmente sbagliata. La globalizzazione, di per se, non è una causa, ma è una conseguenza. E’ la conseguenza della terza (IVa, Va, ecc) rivoluzione industriale (quella in atto ai nostri giorni); quella tecnologica che ha abbreviato le distanze, ha creato la comunicazione di massa a basso costo ed in tempo reale, che è caratterizzata da un’automazione sempre più spinta, che prefigura un’ “intelligenza artificiale” che tra non molto (15, 20 anni) potrebbe superare le capacità umane di elaborazione. Basta ricordare che fino ad oggi la “capacità di calcolo” delle macchine (cioè di elaborare dati e gestire processi automatizzati sempre più complessi) tende a raddoppiarsi ogni 18 mesi a prezzi sempre più bassi. Alcuni studiosi indicano in circa 25 anni il tempo necessario a far scattare una inedita “singolarità tecnologica” tale da accelerare talmente tanto l’innovazione fino a (si presume) renderla difficilmente controllabile dall’uomo. Comunque gli aspetti positivi di questi processi sono moltissimi ed evidenti (sanità, applicazioni tecnologiche, ricerca di base, viaggi, cultura, gadgets, ecc); a livello globale i dati, tra le molte altre cose, ci dicono che si è ridotta la fascia delle povertà assolute, è aumentata la scolarizzazione, la tutela dei diritti, l’attenzione verso i temi ambientali e migliora la protezione sanitaria.
Tecnologia, globalizzazione, vecchi e nuovi conflitti
Di contro emergono altri preoccupanti dati che colpiscono prevalentemente l’occidente (quindi non solo l’Italia). Il primo, ed indipendentemente dagli effetti della crisi, è che aumenta la produttività del lavoro ma non i redditi dei lavoratori (in particolar modo quelli dei ceti medio bassi che svolgono attività non particolarmente qualificate; il secondo – correlato al primo – che la ricchezza si va concentrando sempre di più nelle mani di pochi: meno del 10% della popolazione praticamente possiede tutta la ricchezza del pianeta (ed il 10% di questo 10% controlla gran parte di questa ricchezza).
L’automazione oggi rende più debole la contrattazione salariale; negli Stati Uniti, per esempio, il lavoro automatizzato oggi costa circa 4$ ora contro i 7$ di quello umano. Esiste dunque una questione di redistribuzione del reddito mentre i problemi del lavoro non possono più essere solo affrontati con metodologie economiche che appartengono ad un’altra era ormai tramontata. La questione è ancora più complessa perché nuove eventuali forme di sostegno al reddito ed al lavoro possono essere sostenute solo se applicate a livello continentale o globale; questo ragionamento vale in particolare per quelle di sostegno al lavoro che difficilmente possono essere sostenute senza ledere pesantemente la competitività del sistema produttivo e se avviate unicamente a livello locale (ed oggi locale vuol dire stato). Questo rapido mutamento genera dunque anche nuovi conflitti e rianima antiche tensioni sociali già aggravate dagli effetti di una lunga, devastante crisi economica. In Italia la situazione è ulteriormente aggravata dalla presenza di un pesantissimo debito pubblico che si attesta da anni al limite della sua sostenibilità.
Lavoro e redistribuzione del reddito sono i due temi strutturali da affrontare urgentemente a breve e medio termine. Per modificare le tendenze più drammatiche gli analisti propongono molte e diversificate ricette di politica socio-economica e/o di tassazione (dibattito su forme specifiche di tassazione delle macchine, ecc); ma tutti concordano su un tema: la necessità assoluta di adeguati (e qualitativamente evoluti) sistemi e livelli di formazione.
Tecnologia, globalizzazione e questione ambientale: Questa (grosso modo) la situazione “territoriale” del pianeta: 70% mari. Del rimanente il 30% il 31% sono foreste che vanno assolutamente protette, non ci possiamo rinunciare se vogliamo continuare a respirare; 30% deserti. Dal rimanente 10% vanno tolte le città, i monti, i laghi ed i fiumi. Quel poco che rimane oggi deve dare da mangiare a circa 7 miliardi di persone, che prima del 2050 saranno divenute (tranne non auspicabili tragedie globali) 10 miliardi con – specialmente in occidente – una componente elevatissima di anziani che genererà inedite tensioni sui sistemi socio-sanitari e pensionistici (così come li conosciamo oggi).
Poichè saremo un grande villaggio globale, tutte queste persone – legittimamente – vorranno mangiare, avere disponibilità di acqua potabile, possedere un cellulare, la casa, poter andare a scuola e poter accedere ad una sanità decente. Un minimo di buon senso ci dice che le foreste e la biodiversità vanno assolutamente salvaguardate (facile a dirsi ma difficile da perseguire) prima di tutto per continuare a respirare, ma anche per salvare “la bellezza” di questa grande astronave blu. Non ci resta che coltivare mare (alghe, ecc) e deserti (grande ritorno all’agricoltura) e per poterlo fare abbiamo bisogno di tecnologie a basso costo, di una quantità enorme di energia che, tra l’altro, dovrebbe essere “pulita” e sostenibile. Nel contempo dobbiamo anche continuare a produrre altra energia per far volare gli aeroplani, far funzionare le macchine, i grandi sistemi sociali, le industrie, i computers, controllare il clima e sostenere la ricerca. La politica è ancora attardata sulle questioni del secolo scorso ma o prevale il buon senso ed una diversa veduta di quello che è e sarà il nostro pianeta (presto!) ed allora celapotremoanchefare o, in una maniera o nell’altra, il rischio di una drammatica crisi globale si farà sempre più concreto.