Tante proposte, nessuna legge: la sharing economy s’inceppa.
Airbnb, BlaBlaCar, home restaurant: in Italia le norme sulla condivisione sono tutte bloccate. di FILIPPO SANTELLI da La Repubblica “Economia e finanza”. 3-12-2017
ROMA – Da due anni, oltre che sulla crescita della sua startup, Cristiano Rigon deve tenere gli occhi fissi su Roma. A luglio del 2015 in Parlamento è spuntata una proposta di legge sugli “home restaurant”, cuochi amatoriali che in casa organizzano cene per sconosciuti. Per la sua Gnammo, una piattaforma dove chef e ospiti si incontrano, è scattata una lotta per la sopravvivenza. Da un lato le pressioni della lobby dei ristoratori, che vogliono mettere il cappio ai nuovi concorrenti. Dall’altra la limitata competenza dei politici. Rigon ha investito “ore su ore” tra audizioni e “incontri” con la Confesercenti per favorire un compromesso, che regolasse senza strozzare. Tutto inutile: approvata dalla Camera a gennaio, la legge è stata poi inviata a Bruxelles per un parere. Ora è chiaro, non completerà il suo iter: “Era una mediazione – riconosce Rigon – ma avrebbe messo noi e i nostri utenti su una strada chiara. Un’occasione persa”.
L’occasione era quella di far uscire l’economia della condivisione dal Far West degli inizi.
Di dare un quadro preciso non solo alla piccola Gnammo, ma anche alle migliaia di utenti di Airbnb o BlaBla-Car. Persa. Perché nello stesso vicolo cieco dell’home restaurant sono finite tutte le proposte di legge sulla sharing economy presentate in questa legislatura. Due norme generali, depositate nel 2016 dal Pd, non sono mai arrivate al voto. Meglio regole specifiche per i singoli settori, si disse. Peccato che una norma sul car pooling, proposta dai 5Stelle, sia impantanata a Montecitorio dall’ottobre del 2014. Mentre l’intervento contenuto nella ” manovrina” sull’home sharing, la nuova ospitalità di Airbnb e soci, si limita al solo aspetto fiscale.
La Ue ha raccomandato una regolazione “minima” su questo settore, innovativo e dalle ricadute positive. Ma qualche nodo da sbrogliare ci sarebbe. Definire ad esempio fino a quante notti l’anno chi condivide casa può definirsi ” non professionista”, o fissare requisiti igienici, assicurativi e di sicurezza, oggi lasciati alla libera iniziativa delle piattaforme. “Tutelare la parte debole del contratto”, dice il professore della Cattolica Mario Maggioni, autore di un saggio sul tema. “Cioè i consumatori, che rispetto a chi presta il servizio soffrono di una asimmetria informativa”. Una distorsione che i voti dati a chef o autisti non bastano a correggere.
Certo, la difesa del consumatore è anche il vessillo sotto cui le lobby, ben radicate in Parlamento, difendono rendite storiche. Confesercenti ha chiesto per i cuochi amatoriali gli stessi standard sanitari di un locale, Federalberghi cercato in tutti i modi di limitare Airbnb, accusata di concorrenza sleale. La scorsa settimana alla Camera, nel dibatti
to sul car pooling. è passato un emendamento tagliola: ” Prevede che le piattaforme controllino assicurazione e punti sulla patente, sostituendosi di fatto alle autorità”, dice Gerard Albertengo che con la sua JoJob si occupa di condivisione dell’auto inazienda, tra colleghi. In compenso, nessun incentivo a un’attività che taglia spese, traffico e emissioni. Meglio che la legge non passi, in questo caso.
In attesa del Parlamento però molti enti locali provano a fare da soli. Il Lazio si è visto respingere dal Tar una norma sull’home sharing che introduceva paletti di metratura alla condivisione. La legge toscana è stata bocciata dalla Consulta, la Lombardia ha avuto più successo. Ma il risultato è una Babele di regole, una per Regione, un rebus per gli utenti della sharing.
E nel nuovo mercato degli affitti turistici, neppure la norma “Airbnb” contenuta nella manovrina di primavera porterà più ordine. Il governo infatti non sembra intenzionato a emanare i criteri per distinguere tra affittacamere professionali e non. Si va avanti solo sulla parte fiscale, l’obbligo per le piattaforme di raccogliere le tasse dovute dai proprietari. Censurato dall’Antitrust perché penalizza i pagamenti elettronici, i più sicuri. “Sembra che il primo obiettivo sia recuperare imposte”, dice Maggioni. ” Sarebbe invece il caso di partire dalla tutela del consumatore” . Ormai, se ne riparlerà nella prossima legislatura.