La Germania rossa e nera

La Germania rossa e nera.

Da “Dissipatio”.

Come hanno ampiamente sottolineato le cronache di tutto il mondo, il risultato è di quelli storici. AfD porta a casa il più del 30% sia in Turingia che in Sassonia, dove si piazza rispettivamente al primo e al secondo posto. Fa benissimo anche la sinistra rossobruna e filorussa di Sahra Wagenknecht che all’esordio fa doppia cifra – 15% in Turingia e 11% in Sassonia. La storia però rischia di essere sempre la stessa: forze antisistema vincenti sulla carta, che sfondano sino a non poter più essere ignorate, ma che giocoforza rimangono fuori dai palazzi del potere. Ne avevamo già parlato poco tempo fa in occasione della non-vittoria di Marine Le Pen in Francia (che pure aveva preso più voti del vincente Partito Laburista di Keir Starmer in Inghilterra). Il contenimento della destra si riconferma, casomai ci fossero dubbi, la questione madre di quest’epoca politica. Dalle nostre parti Giorgia Meloni ha incarnato questo spirito, dimostrando come sia possibile incanalare la voglia di cambiare lo status quo in una forza matura di governo. La Germania invece se la passa diversamente. AfD ha note simpatie neonaziste e l’adattamento al sistema sembra ancora anni luce lontano, visto e considerato che non più tardi di qualche mese fa colui che è risultato essere il politico più votato in Turingia – Bjorn Höcke – ha ricevuto tredicimila euro di multa per aver adoperato slogan nazisti alla fine di un comizio. Una sua abitudine, in realtà, alla quale non ha intenzione di rinunciare. Ma ciò perché AfD sta percorrendo un’altra strada rispetto a quella delle destre europee che partendo dalla rabbia sono andate sbiadendo nel tentativo di adattarsi alle regole del gioco.

Nei fatti però non sono le nostalgie politiche ad aver portato l’exploit di AfD – che rischia di ripetersi il prossimo 22 settembre a Brandeburgo. Intervistato dalla giornalista di ItaliaOggi Alessandra Ricciardi, Lorenzo Castellani – storico e politico della LUISS Guido Carli – ha identificato tre cause principali. In primis l’immigrazione, vecchio problema di una parte di Germania dove l’integrazione sembra davvero impossibile. Non può inoltre non aver pesato nell’economia del voto l’attentato di Solingen, cui è seguita una netta presa di posizione del Cancelliere Scholz che pare però non aver rasserenato gli animi. Poi c’è la crisi economica derivata in larga parte dalla guerra in Ucraina e dalla chiusura economico-politica nei confronti della Russia. Pesa molto la mancanza di energia a basso prezzo che Mosca poteva garantire, ma pesa ancora di più se si considera che l’origine di questa mossa diplomatica è percepita da molti tedeschi come teleguidata da oltreoceano. Insomma, una sofferenza a beneficio di attori esterni. Infine c’è l’eterna transizione green, che costa molto pur non garantendo un ritorno nell’immediato (e secondo alcuni neanche nel medio e lungo termine).

La principale forza antisistema batte dove il dente duole. Il 5 settembre, sempre su ItaliaOggi, Roberto Giardina evidenzia un passaggio fondamentale: AfD prende voti dai “vecchi immigrati”, come coloro che si sono stabiliti nella Ruhr, un tempo cuore industriale pulsante del Paese. Qui un terzo degli abitanti ha origini straniere, eppure in massa hanno votato gli estremi. Sintomo di una paura diffusa per il futuro, oltre alla consapevolezza che l’attuale generazione non godrà del lusso di migliorare le proprie condizioni di partenza come invece hanno potuto fare i loro genitori e chi li ha preceduti. Il nemico è la socialdemocrazia, che qui raccoglieva cifre astronomiche poco tempo fa, e che ora invece è incarnazione delle politiche fallimentari causa del declino. Così è curioso che l’altra neo-nata forza antisistema, pur rimanendo dall’altra parte della barricata ideologica, abbia anch’essa imbracciato istanze filo-russe. Il BSW di Sahra Wagenkhnecht, proveniente dalla Linke più a sinistra dei socialisti, oggi punta al serbatoio di voti provenienti dalla Germania Est che, come sottolinea Angelo Allegri su Il Giornale di lunedì 2 settembre, si sta curiosamente riscoprendo nostalgica del proprio passato. Senza appoggiare alcune delle politiche più estreme della propria controparte destrorsa, Wagenkhnecht è riuscita a piazzarsi terza in entrambi i Länder, e adesso viaggia a vele spiegate verso una legittimazione che appariva utopica qualche mese fa, per un progetto parso inizialmente più una boutade che non altro, senza basi elettorali per reggersi in piedi. Fondamentale è stata la volontà espressa di riaprire i rapporti con Mosca, lasciandosi alle spalle la guerra che ha decimato le potenzialità industriali, non solo della Ruhr. Gli elettori, con le loro preferenze, hanno poi fatto il resto. Da comunismo a nazismo: tutto pur di non dimostrarsi accondiscendenti nei confronti di Berlino.

Ancora più curioso dunque è lo scenario che in molti non riescono neanche ad ipotizzare. Se AfD, come pare scontato, vedrà le porte di una qualsiasi alleanza chiuse ermeticamente, allora resterebbe solo il BSW come sponda politica, sebbene Wagenkhnecht abbia fatto intendere che una tale possibilità appartiene solo al campo delle fantasie di un’estate ormai prossima al suo termine. La Germania che eleva il rossobrunismo a paradigma politico è troppo improbabile per sembrare reale, eppure in molti stanno cominciando ad immaginarla in un futuro non troppo lontano. Gli estremi che si toccano: non si è nuovi da quelle parti ad una unione fra socialismo e nazionalismo, sebbene la paura di ricordare sia forte. Senza dubbio sarebbe un’alleanza capace di raccogliere consensi, almeno nell’immediato, di quella attualmente al governo. Il “semaforo” che guida la Repubblica Federale (socialisti, liberali e verdi) ha raccolto un misero 13,8% in Sassonia, mentre in Turingia sono riusciti a malapena a raggiungere la doppia cifra. Una caduta rovinosa che impone riflessioni profonde, oltre all’elaborazione di un piano per trovare delle contromisure. Viceversa il crollo potrebbe espandersi sino a diventare nazionale.

Certo che Turingia e Sassonia non sono Berlino e Amburgo. L’idea che AfD e BSW possano prendersi il Paese si scontra con un elettorato diversificato, oltre che con strutture indipendenti capaci d’influenzare la cultura e la società tedesche. L’anno passato Georg Frundsberg pubblicava sulle nostre colonne digitali un articolo in cui parlava proprio di questo. Il servizio pubblico radiotelevisivo in Germania, sancito dalla Costituzione, è cresciuto fino a diventare un colosso da 10 miliardi di euro di budget che comprende ventuno stazioni televisive, settantatré stazioni radio e una miriade di programmi digitali che includono circa duecentocinquanta canali Instagram. I trentamila dipendenti sono pagati da un canone obbligatorio di 18,36 euro al mese per ogni famiglia, indipendentemente dall’uso che ne fa. Nonostante i ricorrenti scandali di influenza politica e di opachi accordi dietro le quinte per decidere i direttori generali, è giustamente disapprovato chiamare le emittenti “statali” in una conversazione civile: i partiti al governo vengono criticati senza pietà se non sono ritenuti sufficientemente progressisti in materia di politiche di genere, migratorie o climatiche.

L’AfD ha ottenuto il 10,3% alle ultime elezioni federali, eppure ha rappresentato solo 2 dei 457 politici invitati ai principali talk show politici delle emittenti pubbliche nel 2022. È improbabile che le cose cambino, almeno per il programma Hart aber fair (“severo ma giusto”), il cui nuovo conduttore è il fidanzato di Luisa Neubauer, il pendant tedesco di Greta Thunberg. Le sue inclinazioni romantiche non sono molto sorprendenti: un sondaggio condotto tra i suoi tirocinanti ha rivelato che 9 su 10 voterebbero per i partiti di sinistra; il 57,1% per i Verdi, il 23,4% per la Sinistra (l’ex partito comunista della Germania dell’Est, giuridicamente identico ma rinominato) e l’11,7% per i socialdemocratici. Soprattutto i programmi digitali rivolti a bambini e adolescenti seguono diligentemente le mode culturali degli Stati Uniti e le rigurgitano per proteggere i loro guardiani adolescenti dalla mascolinità tossica e da ogni possibile discriminazione.

Ogni partito in Germania mantiene almeno una fondazione no-profit nominalmente indipendente, ma strettamente associata, finanziata con 660 milioni di euro dai contribuenti ogni anno. Il denaro viene utilizzato per mantenere gli uffici all’estero – che funzionano come piccole ambasciate separate – e per finanziare borse di studio per studenti e una vasta gamma di progetti di “educazione politica” per i membri del partito e per il pubblico. In precedenza, ogni partito eletto per una volta nel parlamento federale riceveva un posto alle sempre più grandi mangiatoie pubbliche – ad eccezione dell’AfD, che è stato fondato solo nel 2013 ed è stato escluso dai fondi dagli altri partiti. Sebbene a febbraio 2023 la Corte Suprema si sia pronunciata contro questa pratica informale, chiedendo che fosse codificata da una legge, è possibile che la questione venga risolta formalizzando l’esclusione per presunta ostilità alla democrazia dell’AfD. Mentre il servizio pubblico radiotelevisivo è nominalmente apartitico e le fondazioni politiche sono partigiane per disegno, c’è un terzo strato spesso in mezzo: la società civile. Il governo di coalizione socialdemocratico-liberale-verde di Berlino ha approvato una legge che triplica il finanziamento di progetti per la “promozione della democrazia, la formazione della diversità, la prevenzione dell’estremismo e l’educazione politica”, portandolo da 62,5 milioni di euro all’anno a 212 milioni. La legge dovrebbe dare ai gruppi di attivisti affidabilità nella pianificazione, ma il continuo finanziamento pubblico li trasforma di fatto in funzionari dell’attuale governo: i programmi hanno un orientamento dichiaratamente sinistroide e sono concepiti per stigmatizzare gli avversari politici come antidemocratici. È in un certo senso poetico che l’approvazione della nuova legge sia coincisa con la commemorazione del 175° anniversario della fallita rivoluzione democratica del 1848. I patrioti di allora hanno dovuto aspettare – in Italia come in Germania – altri 23 anni prima che i loro sogni di unificazione nazionale fossero realizzati. La prevista cascata di programmi e finanziamenti che promuove lo status-quo ossificato suggerisce che qualsiasi cambiamento significativo richiederà altrettanto tempo per arrivare in Germania.

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