La tassonomia verde dell’Europa in pratica è un elenco di settori ed obiettivi che vengono ufficialmente definiti dall’Europa per orientare iniziative, progetti e i relativi investimenti finanziari nel quadro del green deal. Ancora una volta hanno prevalso gli equilibri politici nazionali ed il gas e il nucleare sono entrati nella lista. Giustamente questa scelta – così fatta – ha provocato grandi delusioni e forte contrarietà nel mondo ambientalista e non solo. L’utilizzo del gas, con i limiti di emissione decisi, è addirittura più dannoso del nucleare. Non solo non si sono rispettati i limiti di emissione indicati dai ricercatori, ma nemmeno si è deciso di chiudere, per esempio, una centrale a carbone per ogni nuova centrale a gas che si decidesse di aprire: danno su danno. L’unico gas che rappresenta veramente un’alternativa all’esistente è l’idrogeno VERDE ed è li che si dovrebbero indirizzare tante risorse finanziarie per superare tutti gli ostacoli che ancora si frappongono al suo pieno utilizzo. Più complessa ed articolata la questione del Nucleare. Intanto, ed al momento, conosciamo due diverse metodologie atomiche per la produzione dell’energia: la fusione e la fissione. La fusione promette molte buone cose sul piano della sicurezza, zero scorie ed energia praticamente inesauribile; ma siamo ancora allo stato di studio e sperimentazione. Queste nuove centrali saranno utilizzabili (se tutto sarà ok e salvo sorprese) non prima di 15 – 20 anni. La tecnologia nucleare di fissione che abbiamo conosciuto fino ad oggi è obsoleta; ha evidenziato rilevanti rischi di gestione; inquina meno delle centrali fossili, ma conosciamo tutti i pericoli globali che può comportare; presenta costi altissimi di realizzazione; ha il problema delle scorie ed è di difficile e costosa dismissione. Qui sotto, una tabella riassuntiva, molto sintetica, delle emissioni in grammi di CO2eq rapportate al chilowattora elettrico (kWhel) prodotto durante l’esercizio commerciale delle diverse tipologie di produzione dell’energia elettrica:
# fonti fossili: 600-1.200 grammi di CO2eq / kWhel
# solare fotovoltaico e termico: attorno ai 90 g CO2eq / kWhel
# nucleare: 10-130 g CO2eq / kWhel
# eolico, idroelettrico: 15-25 g CO2eq / kWhel[1]
La Tassonomia green Europea parla di nuove tecnologie nucleari di fissione di quarta generazione (ancora ventura e suddivisa almeno in sei diverse versioni) che dovrebbero porci al sicuro dai rischi delle precedenti tecnologie, costare meno, non produrre materiale riutilizzabile militarmente e ridurre le scorie. Si accenna anche ad una fantomatica ed assai poco credibile conversione delle vecchie centrali. Il mondo scientifico concordemente evidenzia i tempi lunghi ed i costi di realizzazione; meno unito è invece sui pericoli e/o i vantaggi che queste nuove tecnologie potrebbero realmente comportare. Tra le mille complesse questioni che solleva il nucleare, un aspetto che merita qualche seria riflessione (comunque sempre per un futuro prossimo venturo) è quello di creare non grandi centrali come nel passato, ma piccole centrali (tipo quelle impiegate nei sommergibili e nelle navi a propulsione nucleare) finalizzate a scopi circoscritti come produrre idrogeno, alimentare grandi complessi industriali, fornire energia a progetti di sviluppo isolati, ecc. Di nucleare si può discutere senza preclusioni neo-ideologiche purché non si tolgano o limitino risorse alla ricerca, allo sviluppo ed alla estensione della produzione di energia basata sulle fonti rinnovabili o comunque non inquinanti che, ad oggi, sono l’unica concreta, urgente alternativa energetica per contrastare l’emergenza climatica. E’ una questione di priorità.
Per l’ennesima volta, riemerge un tema di metodo e di modi di decisione che merita una qualche riflessione.
Le domande sono: come si sceglie ciò che è “Verde” e quindi utile a contrastare l’emergenza climatica ed il riscaldamento globale? Quali sono i fattori ai quali affidarsi per decidere? La risposta è apparentemente abbastanza semplice: un’attenta valutazione tecnica e scientifica, anche sapendo però che una semplice “riparazione tecnica” dell’esistente non può essere sufficiente. Anzi l’affidarsi totalmente ed acriticamente alla scienza ed alla tecnica potrebbe diventare molto pericoloso: si tratterrebbe di un inesplorato passaggio dalla attuale democrazia (pur con tutti i problemi che conosciamo) ad una specie di tecnocrazia politica (tendenza già subdolamente in atto); qualcosa di molto vicino ad una nuova oligarchia depositaria di tutte le verità e dove ben presto l’IA, il controllo dei big data, il fattore funzionale ed il fattore economico ne diverrebbero gli elementi decisionali e totalmente dominanti, con il concreto rischio di relegare le persone a pura statistica di mercato.
Nell’età della tecnica, nell’antropocene (con tutto quello che significa) e a fronte di una pericolosissima crisi climatica il rapporto tra politica e scienza è ineludibile, ma sicuramente richiede una nuova classe dirigente politica ed economica portatrice di una diversa visione dello sviluppo. Una visione sostenuta da estese e capillari forme di partecipazione attiva di una cittadinanza dotata di adeguati strumenti cognitivi, di capabilità[2] e di salda capacità critica.