La comunità scientifica è quasi unanimamente d’accordo. E dati e grafici lo mostrano.
Dal sito della rivista WIRED
Temperature medie in inesorabile aumento. Ghiacciai che si sciolgono, livello del mare che sale. Eventi estremi sempre più frequenti e catastrofici. Gli effetti del cambiamento climatico sono tutto intorno a noi, e le previsioni per il futuro sono tutt’altro che rosee. E la colpa è solo nostra: sono le attività umane, in particolare le emissioni di gas serra nell’atmosfera, a innescare e accelerare i cambiamenti in atto. Su questo punto la comunità scientifica, ad onta di quello che sostengono i cosiddetti negazionisti, o scettici che dir si voglia, è quasi unanimemente concorde: uno studio pubblicato nel 2016 su Environmental Research Letters ha mostrato, infatti, che il 97% degli scienziati che si occupano di cambiamenti climatici sostiene convintamente la teoria dell’origine antropica. Con la consulenza di Antonello Pasini, ricercatore dell’Istituto sull’inquinamento atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche (Iia-Cnr), abbiamo provato a selezionare, spulciando l’enorme corpus di letteratura scientifica sul tema, i dati, i grafici e le mappe che mostrano in modo più evidente e diretto cause, caratteristiche ed effetti del cambiamento climatico.
La crescita della temperatura media globale negli ultimi anni
Il nostro pianeta è un sistema climatico molto complesso: semplificando un po’, si può pensare che gli oceani siano una sorta di enorme serbatoio di calore, in grado di accumulare grandi quantità di energia. Proprio in virtù di questo effetto di accumulazione, il calore necessario a far aumentare anche solo di poco la temperatura superficiale è molto alto. Ripercorrendo all’indietro il ragionamento, è evidente che dietro un aumento anche (apparentemente) piccolo delle temperature si nasconde il fatto che il calore accumulato dai nostri oceani si è significativamente accresciuto.
E l’aumento, effettivamente, c’è stato. Cominciamo dagli anni più recenti: stando al report State on Climate in 2017, elaborato dalla American Meterological Society, il trennio 2014-2015-2016 è stato particolarmente nero (per tre volte di seguito si è registrato il record di temperatura globale annua più calda di sempre) e il 2017 ha fatto registrare un leggero calo, attestandosi al secondo o terzo posto (a seconda del set di dati utilizzato). Secondo gli esperti, il calo del 2017 è imputabile al fatto che non si è verificato El Niño, che di solito gioca un ruolo cruciale nell’aumento delle temperature. Nonostante questo, comunque, il 2017 è stato più caldo di 0,38-0,48° C rispetto alla media del periodo 1981-2010, attestandosi come l’anno senza El Niño più caldo di sempre.
La crescita della temperatura media globale nell’ultimo secolo
Guardiamo ora, con l’ausilio del grafico qui sopra (i cui dati sono stati raccolti ed elaborati dai National Centers for Environmental Information, ente che fa capo al National Oceanic and Atmospheric Administration statunitense), all’andamento delle temperature medie a livello globale nell’ultimo secolo. Sebbene il riscaldamento non sia avvenuto in modo uniforme su tutto il pianeta (è un elemento importante, dato che molti dati mostrati dai negazionisti a supporto della loro tesi mostrano raffreddamenti locali, che effettivamente possono avere luogo, ma che non sono significativi se comparati con l’andamento globale delle temperature), nel complesso, come si vede dal grafico, il trend è globalmente positivo, perché ci sono più aree che si riscaldano che aree che si raffreddano (e le prime si riscaldano più di quanto le seconde si raffreddano). Dal 1901, la superficie del pianeta si è riscaldata di 0,7-0,9° C per secolo, ma il tasso di riscaldamento è quasi raddoppiato dal 1975, arrivando a 1,5-1,8° C per secolo, sempre stando al report citato in precedenza. Da noi è andata peggio, a quanto pare: guardando l’andamento temprale delle temperature medie annue, si nota che l’Italia si è riscaldata di circa 2° C negli ultimi cento anni.
Le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera
Come si fa a stabilire che l’aumento di temperatura sia effettivamente legato alle attività antropiche, e in particolare alle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera? Dal punto di vista fisico-chimico, il fenomeno si può spiegare (rozzamente) così: l’anidride carbonica – ma non solo: sono coinvolti anche altre sostanze, i famigerati gas serra – si comporta come una sorta di filtro a senso unico, che lascia passare l’energia del Sole ma assorbe le radiazioni emesse dal nostro pianeta, creando così, per l’appunto, una sorta di serra attorno alla Terra. Qualche indizio per collegare gas serra e temperatura ce lo forniscono, in prima istanza, i ghiacci dell’Antartide. Che sono sono una sorta di preziosissima macchina del tempo per geologi e climatologi: analizzando la composizione delle carote di ghiaccio, a diverse profondità – che corrispondono a diversi periodi geologici – è possibile infatti ottenere informazioni sulla composizione chimica dell’atmosfera dell’epoca. È quello che ha fatto, per esempio, un’équipe dell’Istituto per la dinamica del processi ambientali del Cnr (Idpa-Cnr), in un lavoro pubblicato nel 2013 su Science. Gli scienziati, in particolare, hanno prelevato cinque carote di ghiaccio antartico, le cui parti più antiche risalivano a circa 800mila anni fa, e hanno analizzato le bolle d’aria che vi erano rimaste intrappolate, dimostrando che circa 20mila anni fa, al termine dell’ultima era glaciale, la temperatura antartica è salita contemporaneamente all’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera. Contemporaneamente, e non precedentemente, come si pensava prima: la sincronia, stando agli autori del lavoro, dimostrerebbe che “non solo l’anidride carbonica ha giocato un ruolo essenziale nell’aumentare le temperature della Terra, ma potrebbe essere stato uno dei fattori scatenanti”. Più in generale, le evidenze scientifiche finora raccolte suggeriscono che i gas serra sono coinvolti in tutti i cambiamenti climatici della Terra: nelle epoche in cui (per qualsiasi ragione) si registrò una minore concentrazione di gas serra, le temperature divennero globalmente più fredde, e viceversa.
Cosa sta succedendo nella nostra epoca? Le emissioni di anidride carbonica, guarda caso, stanno aumentando vertiginosamente. Il grafico che abbiamo scelto (fonte: Carbon Dioxide Information Analysis Center) mostra, per l’appunto, l’andamento temporale della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera (parti per milione). E permette di apprezzare il vertiginoso aumento della concentrazione (che oggi ha sforato quota 400 parti per milione) a partire dalla Rivoluzione Industriale in avanti. Poco sorprendentemente, e coerentemente con la dinamica dell’effetto serra, l’aumento di temperatura registrato sulla Terra correla con l’aumento della concentrazione di anidride carbonica dell’atmosfera. La Nasa ha elaborato altri dati, allargando la finestra temporale di osservazione fino a spingersi a circa 400mila anni fa, e il colpo d’occhio è ancora più significativo:
Non sono gli scienziati ad avere pregiudizi.
Una delle tante affermazioni dei climate skeptics è che i climatologi soffrano di un bias, una sorta di pregiudizio, cosciente o meno, in virtù del quale progetterebbero gli esperimenti, elaborerebbero i modelli o interpreterebbero i dati in modo tale da spingerli, a priori, verso la dimostrazione di una tesi precostituita – in questo caso l’esistenza dei cambiamenti climatici e la loro origine antropica. L’équipe di Pasini, nel 2017, ha risposto anche a questa accusa. In uno studio Iia-Cnr pubblicato a gennaio 2018 sulla rivista Scientific Reports, i ricercatori hanno sottoposto il problema dei cambiamenti climatici a una rete di neuroni artificiali – un’intelligenza artificiale – cui sono stati forniti soltanto i dati osservati e che non conosceva nessuno dei modelli climatici in uso, proprio per scongiurare eventuali problemi di bias. “Tutti i modelli climatici”, ha spiegato Pasini, “attribuiscono alle azioni umane, in particolare all’emissione di gas serra come l’anidride carbonica, l’aumento di temperature nell’ultimo mezzo secolo, e questa uniformità di risultati non sorprende, perché i modelli sono piuttosto simili tra loro. Un’analisi completamente diversa consentirebbe pertanto di capire meglio se e quanto questi risultati siano solidi”. Detto, fatto: l’intelligenza artificiale non solo è riuscita a comprendere i rapporti tra influssi umani e naturali e cambiamento climatico, ma è giunta a conclusioni molto simili a quelle cui erano giunti i modelli climatici precedenti: “Il cervello di un bambino che cresce”, continua Pasini, “aggiusta pian piano i propri circuiti neuronali e impara infine semplici regole e relazioni causa-effetto che regolano l’ambiente in cui vive, per esempio per muoversi correttamente all’interno di esso. Come questo bimbo, il modello di cervello artificiale che abbiamo sviluppato ha studiato i dati climatici disponibili e ha trovato le relazioni tra i fattori naturali o umani e i cambiamenti del clima, in particolare quelli della temperatura globale”.
E ancora: “In breve, le reti neurali da noi costruite confermano che la causa fondamentale del riscaldamento globale degli ultimi 50 anni è l’aumento di concentrazione dei gas serra, dovuto soprattutto alle nostre combustioni fossili e alla deforestazione. Ma il nostro modello permette di ottenere di più: ci dà informazioni sulle cause di tutte le variazioni di temperatura dell’ultimo secolo. Così si vede che, mentre l’influsso solare non ha avuto alcun peso sulla tendenza all’aumento degli ultimi decenni, le sue variazioni hanno causato almeno una parte dell’aumento di temperatura cui si è assistito dal 1910 al 1945. La pausa nel riscaldamento registrata tra il 1945 e il 1975, invece, è dovuta all’effetto combinato di un ciclo naturale del clima visibile particolarmente nell’Atlantico e delle emissioni antropiche di particelle contenenti zolfo, a loro volta causa di cambiamenti nel ciclo naturale”.
Eventi estremi sempre più estremi
Dalle cause alle conseguenze. Tra gli effetti più disastrosi del riscaldamento globale troviamo gli eventi estremi come tornado, uragani, ondate di calore, precipitazioni anomale. Che stanno diventando sempre più violenti e frequenti. Ancora una volta, spigolando dalla letteratura, scegliamo uno studio dell’équipe di Pasini, pubblicato nell’ottobre 2017 su Scientific Reports. Si tratta di un case study relativo a un tornado che nel 2012 colpì la costa di Taranto, causando un morto e 60 milioni di euro di danni. Pasini spiega che “l’esistenza di tornado violenti dipende dalla presenza di celle temporalesche dotate di movimento vorticoso, le cosiddette supercelle, che si formano in particolari condizioni meteorologiche. Cosicché, la frequenza più o meno alta di tali fenomeni dipende proprio dalla frequenza con cui si verificano queste condizioni, e tutto ciò dipende essenzialmente dalla circolazione atmosferica”. Qui entriamo nel campo delle ipotesi, perché non è semplice capire se in futuro si avranno più spesso condizioni di circolazioni adatte allo sviluppo di tornado sui nostri mari: i modelli climatici prevedono che con il riscaldamento globale ci saranno effettivamente cambiamenti nella dinamica atmosferica, ma tali cambiamenti non sono ancora concordi tra i vari modelli. Tuttavia, si può fare qualche previsione sulla violenza degli eventi futuri: in particolare, i modelli prevedono che la forza dei tornado sia criticamente legata alla temperatura del mare, “perché un mare più caldo”, dice Pasini, “fornisce più energia a un tornado, che si manifesta poi in una sua maggiore intensità e violenza”. E lo studio su Taranto lo conferma: “All’epoca dell’evento di Taranto, la superficie del mar Jonio era circa 1° C sopra la media climatologica del periodo (tra l’altro una media molto recente, e dunque relativa a un periodo in cui il riscaldamento globale era già avanzato. Con questi dati reali, abbiamo applicato un modello meteorologico ad alta risoluzione che si è rivelato in grado di riprodurre correttamente il percorso della cella temporalesca dotata di moto vorticoso da cui si è formato il fenomeno, la tempistica e la variazione di intensità”. Ovvero: il modello ha ricostruito egregiamente le dinamiche del tornado reale. Dunque, perché non utilizzarlo per fare previsioni? “Vista la bontà di queste simulazioni con dati reali, abbiamo effettuato degli esperimenti andando a modificare la temperatura del mare di +/- 1° C rispetto a quella osservata: queste simulazioni hanno mostrato che con un grado in meno la supercella non si sarebbe formata, e quindi il tornado non si sarebbe sviluppato; al contrario, aumentando la temperatura di un grado – il valore previsto da molti modelli climatici per la fine del ventunesimo secolo – il tornado sarebbe stato molto più intenso”. Si tratta di un caso singolo, ovviamente, ma il messaggio è piuttosto chiaro: il mare – almeno il mar Mediterraneo – è estremamente sensibile alla variazione di temperatura, e una variazione di temperatura anche piccola è sufficiente a scatenare eventi estremi e catastrofici.
Stesso discorso all’estremo opposto, quello delle ondate di calore. A gennaio 2018, il Goddard Institute for Space Studies della Nasa (Nasa-Giss) e la Fao hanno pubblicato una statistica degli anni di caldo eccezionale, paese per paese. Ovvero, per essere più precisi, i ricercatori hanno inserito i dati annuali della temperatura del trentennio 1951-1980 per ogni paese preso in considerazione, e successivamente hanno misurato in quanti e quali anni ogni paesi aveva presentato una temperatura significativamente maggiore rispetto alla media del trentennio di riferimento. “Nell’ipotesi di clima costante”, spiega Pasini, “una fluttuazione come quella osservata si sarebbe dovuta vedere meno di una volta ogni 100 anni”. I dati, invece, mostrano che le ondate di calore estreme sono sempre più frequenti.
Quando i grafici mentono
Chiudiamo con un’immagine di tutt’altro tenore. Ovvero un grafico apparentemente manipolato per giustificare lo scetticismo di fronte al cambiamento climatico. Siamo nel 2016. Il Wall Street Journal e The Australian (e molte altre testate) mostrano un grafico presentato al Congresso americano da John Christy, docente di scienza atmosferica e direttore dello Earth System Science Center alla University of Alabama di Huntsville, fermamente convinto che il sistema climatico sia piuttosto insensibile alle emissioni di gas serra. L’immagine, come ha raccontato Dana Nuccitelli sulle pagine del Guardian, rappresenta una comparazione della temperatura reale dell’atmosfera terrestre con le stime dei modelli climatici, per mostrare che questi ultimi sono poco attendibili nel prevedere le modifiche del clima. Eccola:
Si tratta, spiega Nuccitelli, di un’immagine “piena di problemi”. Anzitutto, i dati sono allineati male: in particolare, il punto di partenza è lo stesso, un punto relativo all’anno 1979. È una scelta volta a “esagerare visivamente ogni differenza tra il modello e i dati reali”, che invece andrebbero mediati su periodi di dieci o trent’anni per far sì che anomalie puntuali (nel modello o nei dati), relative a un singolo anno, non falsino l’allineamento. Secondo: non sono mostrate le barre di incertezza sulle previsioni del modello e sui dati; prendendole in considerazione, viene fuori invece che le osservazioni sono coerenti con le previsioni del modello. Terzo: le medie presentate (cerchi e quadrati, nella figura) sono eseguite su dati che sembrano provenire da osservazioni del tutto diverse, in alcuni casi neanche in accordo tra loro. E ancora: il grafico non è riproducibile né verificabile: Christy non spiega esattamente di quali database si è servito, e potrebbe aver dimenticato quelli che invece includano temperature più elevate. Infine, Nuccitelli fa notare che le misurazioni atmosferiche sono decisamente meno precise di quelle terrestri, che invece possiamo misurare con strumenti molto più affidabili. È tutto riassunto qui:
Per chi non fosse ancora satollo, il sito Skeptical Science ha raccolto la bellezza di 197 falsi miti sul cambiamento climatico, accostando ciascuno di essi a una spiegazione basata sulle più solide evidenze a oggi disponibili. Buona lettura.