A Proposito Di Rumors: Cosa Sono, Come Nascono, Perché Ci Crediamo …

Tratto dal blog di INGV7 dicembre 2018


Il filo conduttore, del nostro viaggio nel mondo dei rumors ci consentirà di rispondere ad alcune domande: cosa sono, come nascono, perché ci crediamo, come si diffondono, infine introdurremo alcune strategie per combattere i rumors sul terremoto.

Cosa sono i rumors

Il termine “Rumors” non ha un sostanziale corrispondente nella lingua italiana, a meno che non si faccia ricorso a una serie di sinonimi, tanto suggestivi quanto imperfetti: dicerie, leggende metropolitane, chiacchiere, indiscrezioni. Nessuna di queste espressioni, infatti, restituisce a tutto tondo il significato all’originale rumour, che deriva dal latino rumor (pl. rumores),  cioè voce (voci) ormai internazionalizzata in rumour (col plurale anglosassone rumours).

La storia dei rumors è antica come la storia dell’uomo. Da sempre, fin nella remota antichità, le voci, i pettegolezzi, le dicerie, le bufale, venivano messe in circolazione – in buona o in cattiva fede – per influenzare le vicende umane. Gli antichi romani avevano una divinità dedicata ai rumorsla dea Fama. La dea era rappresentata come una donna sempre in moto, gridava continuamente diffondendo notizie buone e cattive, era figurata giovane e irruente con ali cosparse di occhi, di bocche e di lingue, in atto di suonare una tromba, oppure due, una per la verità, l’altra per la menzogna. Questo mostro alato rappresentava allegoricamente le dicerie che nascono, si diffondono, acquistano credibilità, non fanno distinzione tra vero e falso, amplificano e distorcono a piacimento i fatti.

Gli psicologi Nicholas Di Fonzo e Prashant Bordia, nel saggio intitolato Rumor Psychology: Social and Organizational Approachesdefiniscono i rumors notizie non verificate che nascono in contesti di incertezza, pericolo o potenziale minaccia e che hanno la funzione di aiutare le persone a dare un senso alle cose, a gestire il rischio. I rumors, hanno delle caratteristiche precisenon sono verificati, servono a dare senso ad un qualunque vissuto, nascono in contesti specifici e si muovono all’interno di una comunità di persone. In termini di sociologia della comunicazione, la creazione, la diffusione e il seguito, che hanno le voci, sono processi di significazione della realtà umana e come tali non si possono eliminare. Si pensi alla ricerca spasmodica di notizie durante un grande evento in tempo reale, come un terremoto o un attacco terroristico. Le notizie, per loro natura, non possono essere certe, essendo riferite a momenti di grande concitazione e confusione; eppure le persone vogliono sapere. Non la verità, ma qualunque cosa provenga dal luogo in cui sta accadendo la situazione.

Alla genesi del rumor e al suo dinamismo contribuiscono il grado di probabilità che assegniamo a certi eventi, i nostri stereotipi mentali e le nostre convinzioni, il nostro stato d’animo e la nostra immaginazione, il gruppo di riferimento o il contesto.

Perché ci crediamo

Jean-Noël Kapferer, nel saggio Rumeurs. Le plus vieux média du monde (1987), sostiene che quali che siano gli ambiti delle nostra vita sociale il rumor è dappertutto. Si pensi ai rumors, spesso smentiti, di imminenti crack finanziari capaci di far crollare le borse; oppure di acquisizioni e joint-venture, in grado, al contrario, di far innalzare i titoli. Si pensi a quelli, ancor più planetari e tragici, sulla fine del mondo, su catastrofi naturali, su intere città rase al suolo dal terremoto.

Ricorderete la previsione del terremoto che – stando alla voce che circolava – avrebbe dovuto cancellare Roma dalla carta geografica l’11 maggio 2011. A nulla sono valse le ennesime smentite dei sismologi accompagnate dalla spiegazione che “prevedere i terremoti, allo stato attuale, è impossibile”. La capitale si è letteralmente svuotata in vista del sisma. In particolare il quartiere Esquilino, la “Chinatown romana”, ha assunto un aspetto inquietante: serrande abbassate e negozianti in fuga dalla città.

Non è un caso: fra le informazioni in grado di generare un rumor si trova principalmente tutto ciò che disturba l’ordine delle cose e provoca una reazione, vale a dire notizie che presentano un interesse pragmatico diretto come avvisaglie di pericolo, questioni morali, mutamenti di ordine sociale, cambiamenti dell’ambiente naturale.

Kapferer nel saggio sostiene che affinché la notizia possa dar luogo a quella dinamica di ripetizione-discussione, tipica del rumor, è necessario che l’informazione sia attesa o temuta, che risponda cioè alle speranze e alle paure, più o meno consapevoli, degli individui. Occorre inoltre che sia inaspettata e che abbia conseguenze immediate e importanti per il gruppo. Secondo l’autore sono tre gli elementi necessari e sufficienti a definire un rumor: la fonte (non ufficiale), il processo (diffusione a catena) e il contenuto (si tratta di una notizia che verte su un fatto di attualità).

Da ciò si comprende come l’ambito di studio del rumor è interdisciplinare: siamo all’intersezione della sociologia, della psicologia e delle dottrine dei processi comunicativi.

I primi studi sistematici condotti in maniera specifica sui rumors sono di taglio psicologico, americani, e risalgono alla Seconda Guerra Mondiale: gli effetti negativi sul morale di truppe e popolazione prodotti dal susseguirsi di voci e dicerie sullo stato del conflitto, indussero numerosi ricercatori a interessarsi al fenomeno. È a due psicologi sociali Allport e Postman (1947) che si deve il principale modello teorico di riferimento in tal senso. Secondo gli autori, il rumor è una proposizione legata ai fatti del giorno, non verificata ma destinata ad essere creduta, che si propaga da individuo a individuo e si trasmette in genere attraverso il passaparola. Esiste una logica ben precisa che governa i meccanismi di formazione e trasmissione dei rumors: essa risponde ai processi cognitivi di elaborazione dell’informazione (riduzione: gli effetti dell’oblio e della memoria selettiva semplificano il messaggio; accentuazione: gli individui ricordano in maniera distinta solo certi particolari, valorizzandoli, oppure aggiungono dettagli e spiegazioni al racconto al fine di rafforzarne la coerenza o l’impatto; assimilazione: gli individui si appropriano del messaggio in funzione di valori, convinzioni o emozioni preesistenti).

Così, per Allport e Postman, il rumor è, di fatto, una forma di comunicazione non rigidamente vincolata ai criteri oggettivi della verità perché è espressione della naturale tendenza degli individui a livellare, affinare e assimilare il messaggio e i suoi contenuti al contesto personale e culturale.

Come nascono i rumors?

Le origini dei rumors come mezzi di comunicazione si possono far risalire alla fase che l’antropologo Walter Jackson Ong definisce dell’“oralità primaria”, quella che precede la scrittura e in cui il pensiero e l’espressione tendono ad essere strutturati per favorire una facile memorizzazione della parola. La voce che corre “rientra in quei canali naturali di comunicazione in microgruppi” che appartengono alla forma più elementare di trasmissione delle informazioni, quella personale e diretta che interviene tra individui faccia a faccia. Prima che esistesse la scrittura, infatti, il passaparola era l’unico canale di trasmissione delle informazioni all’interno delle società.  La voce, in questo caso, sia in senso astratto che figurato, veicolava le notizie, faceva e disfaceva le reputazioni, degenerava in sommosse o conflitti. Ma il rumor è anche (e soprattutto) il frutto di un processo cognitivo di elaborazione dell’informazione. I rumors nascono spesso proprio da un errore nell’interpretazione di un messaggio; il malinteso va fatto risalire a una “testimonianza di testimonianza” e alla differenza fra il messaggio che è stato emesso e quello che è stato decodificato.

Va detto, però, che i rumors non possono essere considerati esclusivamente come il risultato di una informazione distorta, di una comunicazione “difettosa”. Le persone, in situazioni ambigue o in contesti caratterizzati dall’incertezza, tendono a comportarsi come pragmatici problem-solvers: mettono in comune risorse intellettuali – che includono dati precisi, congetture, convinzioni, opinioni correnti – da ogni fonte disponibile, per dare senso a ciò che accade. Così, ogni volta che il pubblico vorrebbe comprendere ma non riceve risposte, nasce un rumor.

Come si diffondono?

In origine i rumors si diffondevano a voce da persona a persona, con l’avvento dei mezzi di comunicazione di massa e soprattutto di internet, la diffusione si è velocizzata. Il web, per mezzo dei blog forum e siti di informazione, è quindi un efficace veicolo per la loro disseminazione. La rilevanza e la pervasività sociale del fenomeno si sono accentuate in maniera significativa proprio negli ultimi vent’anni, parallelamente alla rivoluzione tecnologica dell’era digitale, alla globalizzazione dei mercati e dell’informazione, oltre che all’internazionalizzazione delle culture, delle “conversazioni”, della paura e persino del terrore.

Come contrastare i rumors?

Combattere i rumors non è impresa da poco. Generalmente ci si limita a poche e semplici raccomandazioni da dispensare ad un pubblico generico, quali:

  • verificare le fonti da cui provengono le notizie;
  • non prendere per buone le informazioni che ci vengono sia da media tradizionali sia da new media;
  • non considerare autorevole a priori nessuna fonte;
  • aumentare la cultura scientifica di base;
  • mantenere sempre un sano scetticismo e sviluppare il senso critico.

A questo proposito persiste un ampio dibatto, sugli elementi da considerare per “contrastare la diffusione dei rumors e sicuramente la verifica dell’attendibilità della fonte è il primo passo per contrastare la diffusione delle false notizie.

Silverman, un giornalista esperto di meccanismi dell’informazione online e in particolare di disinformazione nelle testate giornalistiche online, ha condotto una ricerca presso The Tow Center at Columbia University Graduate School of Journalism, che si concentra su come le informazioni non verificate e le voci vengono riportati dai media, con l’obiettivo di sviluppare le migliori pratiche per sfatare la disinformazione. Nel rapporto conclusivo (Lies, damn lies and viral content) Silverman sintetizza il processo attraverso il quale i giornali contribuiscono alla diffusione di false notizie.

«È un circolo vizioso eppure ben noto: una storia si fa spazio sui social media o in altri luoghi della rete. Uno o più siti di news scelgono di riprenderla. Alcuni usano titoli che la dichiarano vera per incoraggiare le condivisioni e i clic, mentre altri utilizzano formule difensive come «a quanto pare». Una volta che la stampa le ha attribuito il suo sigillo di credibilità, la storia è quindi pronta per essere ripresa e replicata da altri siti di news, che citeranno i primi siti come fonte. Alla fine, la sua fonte originaria sarà oscurata da una massa di articoli che si linkano tra loro, pochi (se non nessuno) dei quali aggiungeranno maggiori contenuti o un qualche tipo di contestualizzazione a beneficio del lettore. Nel giro di qualche minuto o di qualche ora, una storia può così trasformarsi da singolo tweet o racconto infondato a notizia ripetuta da dozzine di siti di news, che genera decine di migliaia di condivisioni. E una volta raggiunta una certa massa critica, la sua ripetizione comincia a esercitare un effetto significativo sulla persuasione: agli occhi dei lettori, il rumor diventa attendibile semplicemente in virtù della sua ubiquità.

Il fatto di essere dappertutto rende credibile la notizia agli occhi di un lettore non abituato a mettere in discussione ciò che legge. Il risultato di ciò, dice Silverman, è che i media tradizionali sono parte del problema della disinformazione rispetto ad esserne una efficace soluzione.

L’autore conclude dicendo che proprio i giornali e anche le testate tradizionali hanno un grosso ruolo nella diffusione delle notizie false in rete, ed è convinto che ci sono dei modi e delle pratiche del giornalismo di sempre e di quello digitale che invece potrebbero essere applicate per fornire un servizio di informazione più affidabile senza perdere in traffico o lettori.

Riteniamo che  si dovrebbe andare in due direzioni: da una parte promuovere un giornalismo scientifico di qualità, fatto da giornalisti preparati in diversi ambiti disciplinari; dall’altro coinvolgere maggiormente chi fa scienza a formarsi ed impegnarsi nell’ambito della comunicazione e della divulgazione scientifica.

Contrastare i rumors sui terremoti

L’occorrenza di un forte terremoto genera una sensibilizzazione sociale al tema del rischio, che si esprime anche in forma di richiesta di informazione e di conoscenza. Questo bisogno di informazione è particolarmente sentito in occasione di sequenze sismiche di lunga durata e con un certo livello di complessità. L’informazione, in tutti i sui aspetti, influisce in modo rilevante sulla capacità delle singole persone e delle comunità coinvolte nell’affrontare la situazione di emergenza.

Per questa ragione, così come avvenuto in occasione della sequenza sismica aquilana nel 2009, a seguito degli eventi di maggio 2012 in Pianura Padana è stata realizzata una lunga e complessa iniziativa formativa e informativa, che in varie fasi, fra il maggio e settembre 2012, ha coinvolto la popolazione.

Questa esperienza, denominata “Terremoto: parliamone insieme” che ha assunto una valenza prevalentemente di sostegno psicosociale, si è rivelata particolarmente importante sia per la complessità della sequenza in atto che ha messo in allarme una vasta area, densamente abitata, sia per la circolazione ‘virale’ di leggende metropolitane, dicerie, rumors e false notizie che hanno messo a dura prova la capacità delle persone coinvolte di affrontare in modo adeguato l’emergenza e ostacolato un buona gestione delle problematiche organizzative e sociali.

Con l’intento di contrastare le voci e rumors durante l’emergenza sismica, abbiamo condotto una vera e propria campagna di raccolta e classificazione dei rumors utilizzando i siti web istituzionali. Partendo dagli studi di Alport e Postman abbiamo stilato una classifica dei rumors più forti, in circolazione e li abbiamo “confutati” durante gli incontri rivolti alla popolazione colpita. La sensibilizzazione e l’educazione della popolazione in questo senso ha favorito l’abbassamento del livello d’ansia e le possibili tensioni sociali e tra le istituzioni.

A questo punto, se questo argomento vi ha appassionato, vi anticipiamo che nei prossimi post della rubrica Terremoti e Società presenteremo nel dettaglio gli esiti della Raccolta dei rumors, la classifica dei rumors più forti circolati durante il terremoto della Pianura Padana e come li abbiamo “combattuti” .…ma questa è un’altra storia…

A cura di Federica La Longa (INGV – Roma1).

L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) è stato costituito con Decreto legislativo 29 settembre 1999, n. 381, dalla fusione di cinque istituti già operanti nell’ambito delle discipline geofisiche e vulcanologiche: l’Istituto Nazionale di Geofisica (ING), l’Osservatorio Vesuviano (OV), l’Istituto Internazionale di Vulcanologia di Catania (IIV), l’Istituto di Geochimica dei Fluidi di Palermo (IGF) e l’Istituto di Ricerca sul Rischio Sismico di Milano (IRRS).

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