Il 3 dicembre a Katowice, in Polonia, è iniziata la COP24, la Conferenza sul cambiamento climatico organizzata dalle Nazioni Unite per fare il punto sui problemi, le sfide e le possibili soluzioni per affrontare il riscaldamento globale. L’incontro è ritenuto cruciale per aggiornare e rendere più concreti gli impegni assunti da quasi tutti i paesi del mondo nel 2015, nel corso della conferenza di Parigi sul clima. I partecipanti si confronteranno soprattutto sulla necessità di tagliare molto più drasticamente le emissioni di anidride carbonica (CO2), il principale gas serra responsabile del riscaldamento globale e immesso in grandi quantità nell’atmosfera soprattutto con le attività umane.
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L’ultimo rapporto sul clima
La conferenza in Polonia inizia a poche settimane di distanza dalla pubblicazione di un nuovo rapporto da parte dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) delle Nazioni Unite, che si occupa di analizzare scientificamente l’andamento del clima e di produrre modelli sulla sua evoluzione. Il rapporto ha prospettato un futuro molto difficile per l’intero pianeta, salvo che i governi non intervengano per limitare il più possibile i danni inquinando molto di meno di quanto facciano adesso.
L’IPCC ha confermato che un aumento medio della temperatura globale di almeno 1,5 °C è ormai inevitabile, ma soprattutto che per tenersi entro gli 1,5 °C in più sarà necessario tagliare le emissioni di CO2 del 45 per cento entro il 2020. In mancanza di azioni radicali, la temperatura media aumenterà oltre i 2 °C portando a eventi climatici più estremi e cambiando il clima di intere aree geografiche, con conseguenze per milioni di persone.
Il problema è che dimezzare la quantità di CO2 immessa in atmosfera in un paio di anni è un obiettivo ormai irrealizzabile. Un recente studio ha inoltre rilevato che, nonostante gli impegni assunti nelle recenti conferenze sul clima, la quantità di emissioni di CO2 è tornata ad aumentare negli ultimi anni, dopo che era rimasta sostanzialmente invariata per quattro anni.
Tra il dire e il fare
Analisti e osservatori rilevano ormai da tempo come ci sia una grandissima differenza tra ciò che i singoli paesi si impegnano a fare, contro il riscaldamento globale, e i risultati che poi raggiungono. Sulla carta si impegnano a ridurre le emissioni, passando per esempio all’impiego di fonti rinnovabili e riducendo la loro dipendenza dai combustibili fossili, ma nei fatti fanno spesso il contrario mantenendo un forte impiego di carbone, petrolio e suoi derivati per produrre energia.
La Polonia, che quest’anno ospita la conferenza proprio in una regione dove ha sede una grande azienda del settore del carbone, è un esempio di questa contraddizione tra il dire e il fare. L’80 per cento dell’energia elettrica in Polonia viene prodotto da centrali che sfruttano carbone e altri combustibili fossili, così come gli impianti per il riscaldamento degli edifici. L’attuale governo polacco non sembra avere intenzione di cambiare le cose e ha di recente annunciato la costruzione di una nuova centrale a carbone, raccogliendo forti critiche da parte degli ambientalisti e di altri paesi europei impegnati invece nella difficile e costosa conversione verso forme di produzione di energia elettrica più pulite.
Parigi vs Katowice
Alla COP24 è prevista la presenza di una trentina di persone tra capi di stato e di governo, un numero significativamente più basso rispetto alla conferenza di Parigi di tre anni fa che aveva raccolto praticamente tutti i leader del mondo. Il nuovo incontro è visto da molti paesi come un passaggio tecnico per rifinire l’accordo del 2015, senza una vera portata storica o per lo meno simbolica. Per l’Unione Europea e la Cina l’incontro è però cruciale, perché è la prima vera occasione per dimostrare un impegno comune sul tema del clima, dopo l’uscita degli Stati Uniti dall’accordo di Parigi voluta dal presidente Donald Trump.
Gli Stati Uniti e il clima
Il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo di Parigi, che era stato ratificato dall’ex presidente statunitense Barack Obama, continua a raccogliere dure critiche, anche se nella pratica non ha ancora portato a un vero e proprio disimpegno dell’amministrazione Trump. Le regole decise nel 2015 diventeranno completamente effettive a partire dal 2020, quindi in questa fase di transizione gli Stati Uniti dovranno comunque partecipare agli incontri sul clima e seguire le loro linee guida. In Polonia ci sarà quindi una delegazione statunitense, anche se non è previsto che porti avanti proprie proposte significative.
Lentezza
Da anni attivisti, associazioni ecologiste e semplici cittadini criticano le Nazioni Unite e, più in generale, i governi del mondo per la lentezza e le grandi titubanze con cui stanno affrontando il tema del riscaldamento globale, la più grande sfida che l’umanità abbia mai dovuto affrontare secondo buona parte degli scienziati che la studiano. I leader dei singoli paesi vengono periodicamente accusati di non avere tutelato la salute e gli interessi dei loro cittadini, pensando solo al breve periodo e senza una strategia più meditata sul futuro per ridurre le emissioni e di conseguenza il riscaldamento globale.
Gli stessi responsabili del programma sul clima delle Nazioni Unite hanno la percezione della lentezza del processo, ma sembrano meno pessimisti. Negli ultimi anni, con grandi difficoltà, sono riusciti a mettere d’accordo la stragrande maggioranza dei paesi del mondo sulla necessità di agire contro il cambiamento climatico, favorendo il mercato delle energie rinnovabili che oggi ha un valore intorno ai 300 miliardi di dollari.
Investimenti
L’accordo di Parigi prevede che a partire dal 2020 sia messo a disposizione dei paesi più poveri, ed esposti agli effetti del cambiamento climatico, un fondo da 100 miliardi di dollari. Il denaro dovrebbe essere distribuito per progetti legati soprattutto a gestire le conseguenze ormai inevitabili del riscaldamento globale, legate per esempio all’innalzamento dei mari, ai protratti periodi di siccità o alle grandi alluvioni. La gestione del fondo sarà discussa durante la COP24, ma i paesi economicamente meno avanzati temono che diventi un’operazione di facciata condotta dai paesi più ricchi, senza effettivi benefici per loro.
Le indicazioni dell’IPCC
Nel suo ultimo rapporto, l’IPCC ha indicato una sorta di percorso a tappe forzate per evitare che si superino gli 1,5 °C di temperatura media globale:
• ridurre le emissioni globali di CO2 in modo da arrivare nel 2030 a produrre il 45 per cento di quelle prodotte nel 2010;
• produrre l’85 per cento dell’energia elettrica da fonti rinnovabili entro il 2050;
• portare il consumo di carbone a zero il prima possibile;
• allocare almeno 7 milioni di chilometri quadrati (l’equivalente della superficie dell’Australia) alle coltivazioni per i biocarburanti;
• raggiungere l’equilibrio ed essere quindi a emissioni zero entro il 2050.
Sono obiettivi estremamente ambiziosi e difficili da raggiungere in tempi così ristretti, senza contare l’enorme spesa di denaro per realizzarli. Questi e altre valutazioni dell’IPCC saranno al centro della conferenza di Katowice. La sensazione di urgenza è condivisa da molte delegazioni, ma come è successo in altre occasioni non è detto che si traduca in qualcosa di concreto e utile.
Da il blog IL POST del 3/12/2018