Il centesimo anniversario dell’ILO (International Labour Organization) è stata l’occasione colta dal governo italiano per fare il punto sui temi del rapporto tra lavoro ed innovazione tecnologica. A seguito di ciò il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha attivato un sito specifico; si sono svolti convegni e sono state raccolte documentazioni, analisi e proposte. Con questa iniziativa si è tentato di superare un clamoroso ritardo di analisi organica di temi di immensa rilevanza ed attualità. Ritardo che, non occorre essere degli esperti per constatarlo, ha segnato e tutt’ora segna trasversalmente la politica italiana.
Un dibattito plurale, così è stata definita l’iniziativa, intorno a quattro direttrici portanti: Lavoro e società – organizzazione del lavoro e della produzione – lavoro dignitoso per tutti – governance del lavoro. L’iniziativa è dichiarata in coerenza con il Piano Nazionale Industria 4.0
Tra i molti contributi presenti sul sito quattro sono quelli istituzionali: due del ministero, uno dell’ANPAL (agenzia nazionale politiche attive del lavoro) ed uno dell’INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche). Quest’ultimo testo però, come espressamente dichiarato, impegna solamente la responsabilità degli autori e non necessariamente riflettono la posizione dell’ente.
In estrema sintesi alcune considerazioni:
Il testo del ministero “Digitalizzazione, automazione e futuro del lavoro” sostanzialmente si limita a riportare i contenuti del dibattito in corso su questi temi attenendosi strettamente ai mutamenti indotti dalla tecnologia nell’ambito del lavoro. Sullo sfondo sembra prevalere l’antica convinzione che alla fine ogni rivoluzione tecnologica, pur generando all’inizio inevitabili problemi, nel medio e lungo periodo sarà in grado, se opportunamente accompagnata, di trovare un proprio nuovo equilibrio dispiegando inedite opportunità. L’altro testo del ministero “Il contributo dell’Italia al centenario dell’ILO” si muove, nel quadro generale, sostanzialmente sulla stessa linea del precedente documento elencando però (condivisibili o meno) quelle che potrebbero essere, a breve termine, le forme d’accompagnamento tese a contenere le criticità indotte nel mondo del lavoro dalla rivoluzione tecnologica.
Più articolato il contributo INAPP a firma di Dario Guareschi e Stefano Sacchi che, pur conservando le linee dei precedenti documenti, rileva però maggiori criticità e alcuni elementi di necessaria discontinuità rispetto al passato. Il documento evidenzia il crescente non equilibrio tra “impresa e lavoratore”, la non neutralità della tecnologia ed è più problematico rispetto al presunto futuro riallineamento tra effetti della N rivoluzione tecnologica e lavoro. L’intervento dell’ANPAl si limita ad indicare la necessità di una pur necessaria riorganizzazione delle politiche attive per il lavoro. Riorganizzazione di un esistente che, nella migliore delle ipotesi, non funziona o, più in generale, è oggi totalmente inefficace.
L’aspetto positivo è che, almeno per quanto mi risulti, questa è la prima volta che un governo (seppur in grave ritardo e con più di un limite) prova ad affrontare con una qualche organicità i temi posti dal cambiamento in corso; cambiamento che è tecnologico, economico, sociale e culturale. Un cambiamento che corre ad una velocità inimmaginabile; velocità insostenibile per una politica (non solo italiana) così come la conosciamo. E’ proprio a causa di questa inadeguatezza che la politica sta vivendo forse la sua più grave crisi di credibilità con la conseguente estesa sfiducia in istituzioni soffocate da migliaia di leggi, oppresse da un’imperante burocrazia ed inquinate dal malaffare e dalla corruzione.
Oggi, grazie all’innovazione tecnologica, abbiamo a disposizione strumenti, opportunità, oggetti e servizi che fino a pochi anni fa sembravano appartenere solo alla fantacienza. Ma è anche chiaro che la rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo sta generando tanti nuovi ed acuti problemi. Nel dibattito su come affrontare questi rischi ci sono inedite questioni che la politica fatica a riconoscere e contrastare. Prima tra tutti la “discontinuità” con il passato; una discontinuità che dovrebbe avere come conseguenza la necessità di esplorare nuovi percorsi normativi, economici e politici. Tra i molti contributi presenti sul sito del Ministero quello di Fabrizio Benassai, seppur lapidariamente (anzi brutalmente), è forse quello che più rende l’idea dell’urgenza di un ripensamento di fondo ed a più livelli sulla sostanza della questione lavoro e lavori.
E proprio la discontinuità sembra dirci che niente garantisce che le cose si ripeteranno come nel passato; che alle lunghe il quadro si aggiusti (da se) sostituendo i lavori morti con altri nuovi. Al momento la maggioranza degli studi e delle analisi indicano che nei prossimi anni (almeno un quinquennio) avremo in occidente un consistente saldo occupazionale negativo tra lavori che vengono automatizzati o che non saranno più necessari e quelli nuovi.
Tendenzialmente l’automazione sta producendo un aumento della produttività con occupazione (così come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi) stagnate od in calo; comprime la capacità di contrattazione economica degli umani e tende ad impoverire le fasce medie della popolazione anche perché non è vero che i lavori a rischio siano solo quelli ripetitivi o meno complessi. Un primo drammatico risultato di questa situazione è un deciso accentramento della ricchezza nelle mani di un numero sempre più ristretto di soggetti.
Per contrastare questa tendenza tutti i ricercatori convengono sull’importanza di una formazione di qualità ed all’altezza delle sfide, ma si dividono sulle future strategie politiche ed economiche convenendo comunque sul fatto che gli strumenti fin qui utilizzati (specialmente se pensati in un ottica “nazionale”) saranno sempre meno efficaci e/o sostenibili, in particolar modo per un paese con un debito pubblico costantemente al limite della sostenibilità.
“Accompagnare” l’innovazione è una evidente necessità, anzi un dovere della politica se non vuole essere definitivamente surrogata dal “fattore economico” che finirebbe con il trasformare definitivamente i cittadini solo in meri consumatori (delle istituzioni, dello stato, dei servizi, dell’ambiente e delle cose). Guardandosi intorno però appare molto meno chiaro capire chi e come sia realmente in grado di dispiegare politiche integrate efficaci; ma soprattutto con quale visione (possibilmente non ideologica) del futuro.
by M.F.